Tabucchi stronca De Cusatis,
che ha colpa di prenderlo sul serio

Il fatto, in sé, ha qualcosa di inaudito. Sul Corriere della Sera, Antonio Tabucchi, famoso per i suoi romanzi e per il suo impegno in difesa della giusta causa democratica, spara a zero contro uno studioso dello scrittore portoghese Fernando Pessoa. Lo sventurato è Brunello De Cusatis, ricercatore all’Università di Perugia e autore di varie edizioni dei testi di Pessoa: dagli “Scritti di sociologia e teoria politica” (Settimo Sigillo, 1944) a “Politica e profezia. Appunti e frammenti 1910-1935” (Antonio Pellicani, 1996) sino agli scritti economici, sull’industria, il commercio, e l’organizzazione dell’impresa pubblicati l’anno scorso da Ideazione. Tabucchi nutre per Pessoa una venerazione. Legato a lui da una forte somiglianza nei tratti somatici, lo considera quasi il suo alterego, come dimostra il gioco di specchi di “Sostiene Pereira”, il romanzo diventato un film di successo grazie all’interpretazione di Marcello Mastroianni, che mette in scena un vecchio giornalista infingardo e dolente, appesantito dagli anni e dalla vita, il quale all’improvviso, attraverso due giovani francesi, riscopre l’orgoglio dell’oppositore democratico e si ribella alle miserie della dittatura. Ma prima di votare a Pessoa un culto poetico Tabucchi l’ha eletto a oggetto di studio privilegiato, l’ha perlustrato, compulsato, divulgato, tradotto, visto che, oltre a vivere parte dell’anno sulle rive del Tago e scrivere fra le azulejos nella lingua di Camoes, insegna più prosaicamente letteratura portoghese all’Università di Siena. Tanto più sorprendente appare dunque il suo attacco quanto più sembra nell’esperienza di studioso anziché in quella di narratore.

“L’operazione condotta dal dott. De Cusatis sui testi di Pessoa - scrive Tabucchi un po’ accigliato nel suo gergo da mattinale - è all’insegna della massima disinvoltura e si fa beffe delle più elementari regole ecdotiche e filologiche. Con criterio del taglio e cucito che gli permette di sforbiciare i testi di Pessoa dove meglio preferisce, di decontestualizzarli, di incollarli, di riempirli di puntini, di ripubblicare senza alcuna nota un testo che Pessoa successivamente rifiutò e cassò dalla sua opera, il De Cusatis confeziona un Pessoa fascistoide e filo-salazarista che fa rizzare i capelli in capo a qualsiasi studioso serio del grande poeta”. Accusa grave, dagli effetti inattesi. Chiamato a comparire davanti a cotanto tribunale, l’imputato si dichiarava contumace. Irreperibile, si limita a far trapelare una dichiarazione la quale, non fa altro che aggravare il caso, non suo, ma di Tabucchi. “Siccome sono attualmente impegnato in due concorsi per la cattedra di lingua e letteratura portoghese, uno all’Università della Tuscia come professore di prima fascia, mi riservo di rispondere più avanti. Fra i membri della commissione di concorso infatti figura, a Torino, la professoressa Maria Josè di Lancastre, consorte del professor Tabucchi, e a Viterbo lo stesso Tabucchi”.

Un commissario di concorso, di norma, è tenuto a esprimere le sue valutazioni sui candidati solo in sede collegiale e con metodo comparativo. Ma non può pregiudicare questi giudizi con esternazioni durante i lavori della commissione. Se poi dal tono e dal momento in cui le esprime si rivela un’antipatia che lede la serenità del giudizio, il candidato ha tutto il diritto a sostenere che non si tratti di un commissario imparziale e che la valutazione collegiale e comparativa è stata violata. Non per niente, violando l’etichetta concorsuale, l’iniziativa di Tabucchi ha sorpreso i suoi stessi colleghi. “Sono rimasto sbalordito da una presa di posizione così violenta” dice Ettore Finazzi Agrò, ordinario di portoghese e brasiliano alla Sapienza di Roma e commissario al concorso di Viterbo. “Forse è legittima, ma in questo momento è un attacco strumentale. Anche se nel caso di Pessoa resta difficile identificare una linea politica coerente, pro o contro una forma dittatoriale. Prima di comporre i testi antisalazaristi citati da Tabucchi, Pessoa esaltò persino un mediocre come Sidonio Pais, il capitano dell’esercito che prese il potere durante la prima guerra mondiale, vedendo in lui una figura carismatica”.

Quanto al merito dell’accusa, è Alessandro Campi, lo studioso del fascismo che nel 1994 commissionò il primo saggio di De Cusatis per il numero monografico della rivista “Futuro e presente” dedicato a Pessoa, a notare che sfugge forse a Tabucchi la differenza tra movimento fascista, come furono le camicie azzurre di Rolao Preto, e regime autoritario, come quello di Salazar, che quel movimento liquidò: “C’è un saggio di Antonio Costa Tinto, massimo studioso di fascismo portoghese, pubblicato da Zeev Sternhell, che dimostra come Pessoa fu sì un oppositore di destra. Era uno gnostico paganeggiante, un antidemocratico ultraliberalista, che aborriva l’integralismo cattolico ruralista di Salazar”.

Ma la cosa più sorprendente è scoprire che il primo a sollevare dubbi sulla posizione politica di Pessoa, venticinque anni orsono, fu proprio lo stesso Tabucchi in un saggio, “Fernando Pessoa. Baedeker bibliografico”, apparso su Quaderni portoghesi (n. 2, 1977) dove alle pagine 201-202 si può leggere: “Pessoa l’inquietante, non si smentisce quando politico-filosofeggia. Reazionario? Totalitarista? Superomista? Anarchico di destra? Queste e altre ipotesi, in mancanza di una sintesi critica veramente convincente, sono tutte aperte. Certo c’è in lui quella stessa “tentazione fascista” che avrebbe poi adescato Céline, la Rochelle, Pound. O anche: della capacità che hanno certi grandi artisti di interpretare la miseria dell’uomo (nel caso di Pessoa una miseria e una morte tutte interiori, un grande senso di vuoto e di desolazione). Con lui, tuttavia, la Storia fu in un certo qualmodo generosa, inviandogli nel ’35 una letale colica epatica che lo esonerò da un’opzione che toccò ad altri”.

Non vale, si dirà, quello scritto è un vecchio testo clandestino, votato all’oblio. Che dire allora dell’introduzione al primo volume di “Una sola moltitudine”, raccolta di poesie e prose di Pessoa, a cura di Antonio Tabucchi con la collaborazione di Maria José de Lancastre, pubblicato da Adelphi nel 1979, e giunta all’ottava edizione nel 1997. S’intitola “Un baule pieno di gente” e a pagina 16-17, con prosa non meno greve di quella che rimprovera al De Cusatis, Tabucchi scrive: “ Una sistemazione soddisfacente di Pessoa come ‘intellettuale’, cioè dell’impianto culturale in senso lato della sua opera teorica e pubblicistica (…) è ancora ben lontana dall’essere effettuale, Ciò, credo, per tre comprensibili motivi: innanzitutto la mole e la complessità dell’opera poetica che ha soverchiato e messo in disparte l’attività del teorico; poi il legittimo convincimento di ogni suo critico che l’ipoteca risultante dall’essere tale opera ancora ‘aperta’ (…) ostacoli seriamente un giudizio, se non definitivo, almeno abbastanza attendibile di Pessoa come intellettuale e come uomo di cultura del suo tempo; e infine, motivo che non bisogna sottovalutare, l’imbarazzo della critica di fronte a un personaggio scomodo come Pessoa; il che la dice lunga sui pregiudizi e sull’inibizione di tutta quella critica che guardando al poeta ha rimosso il politico e il filosofo, operando una sorta di divisione sul personaggio (…) e sbarazzandosi surrettiziamente del personaggio, relegandolo nella classe differenziale, composita e in definita dei ‘cattivi del Novecento’, classe “stranamente e multiformemente affollata”, dove ci sono “totalitari e i liberali, gli anarcoidi e i miticheggianti, Wittgenstein e Nietzsche, Pound e Céline, Bataille e Kafka”. Difficile capire come mai oggi, con tanta foga censoria, il professor Tabucchi imputi a un ricercatore di averlo preso sul serio.

8 giugno 2001

(dal Foglio del 1 giugno 2001)





 



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