Corridoi paneuropei: alla "conquista"
dell'Est
di Angela Regina Punzi
Spesso gli economisti ritengono che le frontiere dei paesi siano
una variabile esogena, una comune variabile geografica.
Ingiustamente. Alberto Alesina spiega che le frontiere non
possono essere considerate semplice parte del paesaggio fisico,
al pari di montagne e fiumi. Perché le frontiere sono
istituzioni create dagli uomini. Alesina titola questo suo
interessante paper: "The size of the Countries: Does it
Matter?". Domanda di non facile risposta. E’ vero, l’accesso al
mare di un paese non può dipendere da una scelta umana, eppure
la Bolivia ne possedeva uno prima di cedere parte del proprio
territorio al Cile nel 1984. E se la Lombardia portasse avanti
la secessione dal resto dell’Italia, di certo lo perderebbe.
Ebbene, tra una decina di giorni l’Unione Europea modificherà
ufficilmente i propri confini con l’ingresso di dieci nuovi
paesi. E allora siamo noi a chiederci: Does it matter? In un
contesto sempre più economicamente integrato, certamente
infrastrutture adeguate ed efficienti saranno un presupposto
essenziale per l’ulteriore avanzamento nel processo di sviluppo
economico e sociale delle regioni europee. Su questo tema
segnaliamo un’attenta ricerca svolta da un gruppo di ricercatori
dell’Istituto superiore universitario di formazione
interdisciplinare (Isufi) dell’Università degli studi di Lecce,
“I corridoi paneuropei. Ragioni, fonti, amministrazione”, a cura
di Susanna Cafaro ed Edoardo Chiti. Il lavoro è dedicato
all’ambiziosa iniziativa della Unione Europea di creare una
serie di connettori globali (i cosiddetti corridoi) destinati
“oltre al traffico di merci e di persone, anche alla
trasmissione dei flussi di energia e allo spostamento di voci,
immagini e dati, in uno spazio geografico che attraversa tutto
il continente europeo e si estende ben oltre il territorio degli
Stati membri dell’Unione”.
Gli autori sostengono che l’istituzione dei corridoi paneuropei
possa essere compresa e spiegata solo alla luce della fine della
cosiddetta “cortina di ferro”. La caduta del Muro di Berlino ha
rappresentato la fine, se non della guerra fredda, quanto meno
di un periodo contraddistinto dalla competizione tra il blocco
occidentale e quello orientale. I corridoi paneuropei
costituiscono così oggi uno strumento essenziale all’interno del
disegno complessivo elaborato dall’Unione per ancorare l’Europa
centrale, orientale e sud-orientale alla parte occidentale.
Corridoi multimodali che attraversino da nord a sud, da est ad
ovest tutto il continente, senza più l’ostacolo dell’equilibrio
bipolare. La concezione dei corridoi intesi come percorsi
preferenziali, come direttrici di flussi di merci, di persone,
di comunicazioni e di influenze culturali, non è nuova. Sin dal
Medioevo vi sono state rotte preferenziali per i commerci come
per i pellegrinaggi. Nel volume, Edoardo Chiti e Susanna Cafaro
spiegano tuttavia che ai nostri giorni la nozione assume una
valenza inedita. “In un contesto caratterizzato dal crescente
interscambio commerciale, dall’incremento costante delle
comunicazioni, in una parola dalla globalizzazione… In tale
contesto per gli Stati è esigenza primaria essere connessi:
avere accessso alle linee di comunicazione che inseriscano il
paese nel network dei traffici globali”.
Ma ci sono ancora diversi problemi che ostacolano la
realizzazione di tali corridoi. Nell’ultimo numero della rivista
di geopolitica, Limes, c’è un interessante articolo, “Corridoio
adriatico, punto e a capo”, dove Paolo Pasquini afferma che si
può ormai puntare su una configurazione diversa dell’Adriatico.
Da mare che divide e separa i Balcani dall’Europa l’Adriatico
diventa confine ordinario, cerniera più permeabile agli scambi
di persone e merci di quanto non sia la terraferma. Eppure il
corridoio adriatico è stato finora sottoposto ad una pesante
bocciatura sia da parte italiana che della Commissione europea.
In un altro articolo pubblicato sempre sulla rivista di
Caracciolo, “I nostri ponti sull’Adriatico”, Gilberto Zinzani
denuncia “l’approccio occasionale ed episodico” alla
progettazione delle infrastrutture da parte dell’Italia in
ambito comunitario. E porta a testimonianza il caso dell’area
adriatico-ionica.
Mentre in Italia si discuteva sul Corridoio adriatico, tentando
di creare una reta di trasporto intermodale, che combinasse
strada-ferrovia-mare, la Grecia otteneva un finanziamento per il
Corridoio ionico, che collega Patrasso, Igoumenitsa e Iraklion.
Si perdeva così una grande occasione per il sistema
infrastrutturale adriatico-ionico di creare una strategia
integrata tra Italia e Grecia. La Grecia ha dato forma a diversi
progetti comunitari perché ha costruito un meccanismo di
programmazione strategica tra Stato, città portuali e
rappresentanza permanente a Bruxelles. Un vero e proprio sistema
integrato di programmazione e progettazione delle
infrastrutture. Zinzani sostiene che la lezione da trarre è che
“noi italiani non siamo inferiori quanto a programmi, progetti
ed iniziative locali e regionali, ma non siamo sistema”. E certo
questi ritardi preoccupano.
19 dicembre 2003
a.punzi@libero.it
|