Odori, rumori e sapori del calcio che fu
di Stefano Caliciuri
Ogni appassionato del pallone conserva dentro di sé un bagaglio
di ricordi legati ad un’azione solitaria, una goffaggine
atletica, una prodezza balistica. Emozioni molte volte legate a
ricordi dei tempi d’infanzia quando, all’interno di un
immaginario rettangolo di periferia con gli zainetti a far da
perimetro, nel cuore di ognuno di noi batteva forte la speranza
di calcare un giorno prati ben più verdi e illuminati. L’impegno
adoperato durante le partitelle solitarie del dopo-scuola, nella
vita reale non lo avremmo mai più riutilizzato: vincere la
“battaglia delle cinque del pomeriggio” era motivo di vanto per
tutta la giornata successiva, quando tutto si annullava con la
puntuale rivincita della rivincita. Neppure la solitudine dei
campetti frenava l’entusiasmo, grazie alla spinta delle migliaia
di tifosi incitanti che idealizzavamo nella nostra testa e che
ci accompagnavano in ogni nostro tocco di palla.
Anche di queste memorie si nutre la narrativa odierna, dove le
gesta dei professionisti del calcio servono soltanto da contorno
e da riferimento temporale. Come non citare allora i ventuno
scrittori che attorno alle vicissitudini quasi disneyane della
loro squadra del cuore, l’Inter, hanno elaborato altrettanti
racconti basati su sensazioni o avvenimenti personali: chi
nell’anedottico chi nel surreale, chi nell’ironico chi
nell’autobiografico, chi nel comico puro e chi nella short story
all’americana. Un po’ come nell’Inter vera, dove spesso ciascuno
gioca da solo e fa un gioco diverso da tutti i compagni in
campo. (AAVV., Basta perdere, Limina editore, pp. 144, € 13,50).
Rimanendo in ambito nerazzurro è impossibile non citare l’ultima
fatica di Beppe Severgnini. Dopo l’attenta analisi su come
l’Inter abbia potuto non vincere lo scudetto del 2001, ecco
puntale il secondo episodio della saga-Moratti: come aver potuto
oltre che continuare a non vincere lo scudetto anche a perdere
la Champion’s League senza perdere (ovvero pareggiando due volte
con l’altra sponda milanese). I racconti di Severgnini come
sempre sono scritti in maniera diretta, senza arcaismi o inutili
giri di parole: le lettere dei “colleghi di sventura” interisti
pubblicate al termine di ogni capitolo sono brandelli di vita ed
emozioni difficilmente sconosciute ad ognuno di noi. Per averne
un’idea ecco quanto scrive Elena Duglio da Genova: “Soprattutto
mi legano a questa squadra i ricordi della vita. Dopo la
separazione dei miei, è stata l’Inter a farmi mantenere un
rapporto con mio padre, con cui andavo a vedere le partite la
domenica senza sentirmi in colpa perché lasciavo mia mamma a
casa. E ancora oggi intorno a me c’è una strana solidarietà
diffusa. Gente che non capisce niente di calcio quando gioca
l’Inter pensa a me con affetto e, se va male, vive la stessa mia
delusione. Non so se mi riesco a spiegare, ma sono proprio
questi momenti che contano, in un rapporto difficile: e allora
aspetti la prossima occasione per crederci ed illuderti di
nuovo, e pensi che andrà meglio”. (Beppe Severgnini, Altri
interismi, Rizzoli, pp. 160, € 9,50).
Sempre di ricordi si parla, ma questa volta legati ad episodi
vari, tra il ridicolo e l’epico, nel volume curato da Andrea
Aloi: dal cucchiaino di Simone Inzaghi all’inzuccata tardiva di
Roberto Pruzzo, passando per il fantozziano Marco Pacione sino
ad arrivare al nordico mastino difensivo Jaap Stam. I
trentasette professionisti del passato e del presente convivono
pagina a pagina, tra scanzonate avventure e leggendarie riprese
di fiato: a tenere il filo delle loro gesta non è solo una
scrittura esilarante ed estrosa, ma è soprattutto la nostalgia
di un calcio meno frenetico ed omogeneizzato, ancora aperto alla
libertà ed all’invenzione personale. (Andrea Aloi, Do di piede,
trentasette atti unici contro il calcio moderno, Editori
Riuniti, pp. 112, € 7,75).
Dal nome di un gioco per bambini al titolo di una ricerca
condotta da Fabrizio Calzia e Massimiliano Castellani. “Palla
avvelenata” indaga su una serie di morti misteriose, doping e
sospetti del calcio italiano. Partendo dalle dichiarazioni di
Zeman contro alcune società, i due autori hanno incontrato,
intervistato e analizzato le storie “oscure” di alcuni
protagonisti di oggi e di ieri. Partendo dall’inchiesta
(tutt’ora in corso) del magistrato torinese Raffaele
Guariniello, ci si addentra in un intricato percorso di
testimonianza, formule chimiche e schede atletiche personali.
Una lettura per tutti coloro che sono convinti che il calcio non
deve essere drogato, ma anche per tutti gli altri, ovvero coloro
che col doping giocano il futuro proprio e degli atleti.
(Fabrizio Calzia e Massimiliano Castellani, "Palla avvelenata",
Bradipolibri, pp. 220, € 14,50).
Che ne sarebbe dei campioni sportivi senza il giornalista, colui
che ne rende pubbliche le gesta, le analizza, le critica, le
“concede” al tifoso? Questo si sono chiesti Italo Cucci e Ivo
Germano che, con “Tribuna Stampa”, analizzano la storia del
giornalismo sportivo dall’età di Pindaro sino all’era della
globalizzazione mediatica, raccontandolo fra costume e società
nell’ambizione di dimostrare il valore democratico e culturale
della Stampa sportiva, andando oltre alle vitali e necessarie
polemiche fra allenatori, giocatori, manager e pubblico. La
“felice Italia” dei cinquantacinque milioni di commissari
tecnici si è evoluta non per le guerre di religione della
tattica ma grazie all’opera di alcune maestose firme: Roghi,
Brera, Palumbo, Ghirelli, Casalbore, Arpino, Ghirelli, esempi
immortali di come lo sport possa influire sulla cultura di
massa. (Italo Cucci e Ivo Germano, "Tribuna Stampa", Il
Minotauro, pp. 346, € 20).
19 dicembre 2003
stecaliciuri@hotmail.com
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