L’improvvisazione ricomincia da “Nuova Consonanza”
di Giuseppe Pennisi

Il festival di “Nuova Consonanza” ha 40 anni; il sodalizio, nato nel 1959 per iniziativa di un gruppo di giovani compositori interessati alle avanguardie, ne ha anche qualcuno di più. E’ rimasto, però, giovanissimo. Il 30 ottobre, nella Sala Settecento del Parco della Musica, c’erano sì un po’ di capelli bianchi ma la platea e la galleria straripavano di ragazzi e ragazze in maglioni e jeans: la grande musica moderna e sperimentale a Roma ha una casa la cui importanza internazionale sta diventando analoga a quella dell’Ircam di Parigi. Il tema del festival 2003 è l’improvvisazione: un ritorno alle radici di “Nuova Consonanza” e del suo “gruppo improvvisazione” che ha avuto un ruolo tanto importante negli anni Sessanta. Ancor di più è un ritorno alle radici della musica in quanto emozione e libertà (non solo di quella orientale, come suggerisce, nel programma di sala Alessandro Sbordoni). Il programma è nutritissimo: sino quasi alla vigilia di Natale, a Roma ci sarà una grande festa di improvvisazione (anche con una serenata al chiaro di luna che, all’Accademia Americana di Villa Aurelia, il 9 novembre durerà dalle 17 alle 23 con improvvisazioni di oltre 30 compositori e la visione di due brevi film muti d’antan).

Il concerto inaugurale non poteva non essere un omaggio a Luciano Berio, preceduto dall’esecuzione, da parte dell’ensemble vocale Les Eléments, di un’improvvisazione del padre dell’Ircam, Pierre Boulez, su testo di Mallarmé. Lavoro, al tempo stesso, denso di fantasia e di rigore. Le due opere di Berio presentate nel concerto sono state composte a circa un trentennio l’una dall’altra (Laborintus tra il 1963 e il 1965 e il Canticum tra il 1988 e il 1993 in due versioni successive) e sono entrambe basate su testi di Edoardo Sanguineti. Sono, quindi, tappe di un lungo ed interessante percorso. La prima è una “conferenza a più livelli” intorno alle relazioni concentriche che si instaurano tra voci, strumenti ed elaborazione elettronica (in questo caso un nastro magnetico).

La composizione si muove tra riferimenti musicali ora lontani ora vicini, richiamando ‘gesti sonori’ di altri autori o generi (da Monteverdi a Stravinsky, dal free jazz all’improvvisazione controllata), pur rimanendo rigorosa e rifuggendo citazioni di maniera; la sconcertante invenzione continua di Laborintus la rende un’opera ‘cult’, anche per questo applauditissima da giovani di tutte le età. Il Canticum Novissimi Testamenti, dedicato alla memoria di Massimo Mila, presenta un organico simmetrico e tripartito in un coro di otto voci (quattro femminili e quattro maschili, suddivise in coppie di soprani, contralti tenori e bassi), un quartetto di sassofoni e un quartetto di clarinetti. Un dialogo affascinante tra voci e strumenti. Marco Angius, visibilmente commosso, ha diretto l’Ensemble Algoritmo. Numerosi i critici stranieri alla “prima”, segno che a Roma la grande musica è uscita dal museo.

25 novembre 2003

gi.pennisi@agora.it

stampa l'articolo