Tecnologia e politica: ecco le folle intelligenti
di Giuseppe Mancini

Folle intelligenti, smart mobs: è il titolo dell’ultimo libro di Howard Rheingold, guru acclamato della rivoluzione connettiva. “Smart Mobs – The Next Social Revolution”, appena tradotto in Italia da Raffaello Cortina Editore, prosegue il lavoro di ricerca cominciato nei precedenti lavori sulle comunità virtuali e il cyberspazio, alla ricerca delle implicazioni sociali delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, approfondendo l’analisi sulle nuove modalità di azione dei movimenti sociali determinate dai cambiamenti tecnologici. Non più folle inerti, dominate dalle ideologie e dai capi carismatici; ma folle dinamiche, innervate da fibre ottiche e in perenne contatto grazie a Internet e ai telefoni cellulari, capaci di attivarsi in tempi ristretti e di mobilizzare migliaia e migliaia di persone. Folle intermittenti, che si coagulano, compiono le azioni decise collettivamente e si disperdono per aggregarsi nuovamente, sempre più numerose. Folle che diventano attori decisivi della lotta politica, capaci di ribaltare i rapporti di forza esistenti: come in Indonesia contro Wahid, come nelle Filippine contro Estrada.

Ma il ruolo più direttamente politico delle folle intelligenti non ne deve oscurare le forme d’azione più innovative e destabilizzanti. Come il “flashmob”, la mobilitazione-lampo, fenomeno mediatico transnazionale e internettiano di quest’estate. Folle di centinaia o poche migliaia di persone convocate in un punto preciso della città attraverso siti web e posta elettronica, informate sulle modalità d’azione da fogli consegnati a mano, attive in spazi pubblici come piazze e negozi. A New York, i mobbers hanno cercato di comprare, tutti insieme, un inesistente “tappeto dell’amore” in un grande magazzino; a Parigi, sono crollati esanimi sotto le piramidi del Louvre, per poi rialzarsi, applaudire per qualche secondo e correre via; ad Amsterdam, hanno fotografato e filmato i clienti all’uscita di un supermercato; a Mosca, hanno sfogliato il giornale sulle scale del Bolshoi per cinque minuti; a Roma, hanno chiesto in libreria la seconda parte mai scritta di Pinocchio, oppure hanno inscenato una partita di rugby, contendendosi un rotolo di carta igienica, sul sagrato di Santa Maria Maggiore.

Apparentemente un gioco; o meglio, una beffa stile candid camera: per stupire i passanti, scioccare i commessi, lasciare con un palmo di naso poliziotti e addetti alla sicurezza che immancabilmente arrivano a flashmob già terminato. Un’azione priva di obiettivi politici immediati, che ha nel divertimento dei partecipanti il criterio di valutazione per la sua riuscita. Ma a meglio riflettere, un potenziale significato politico appare in controluce: la contestazione delle cadenze rigorose e dell’iper-razionalismo che caratterizzano la nostra società attraverso l’improvvisazione e il gesto disinteressato. Il flash mob come parentesi, come intermezzo in cui le regole e le norme sociali, così pressanti soprattutto negli agglomerati urbani, vengono a cadere, sostituite da riti collettivi che non travolgono ma al contrario valorizzano la creatività dei singoli. Folle intelligenti: in cui gli individui svolgono ruoli attivi, in cui le informazioni alternative circolano in tempo reale, in cui ognuno agisce in base alle proprie personali motivazioni, in cui lo spirito d’iniziativa si prende una bella rivincita contro la propaganda politica e commerciale, contro gli opprimenti conformismi sociali.

26 settembre 2003

giuse.mancini@libero.it







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