Musical. Pooh: risarcimento a Collodi 
di Ivo Germano

C'era bisogno di un risarcimento danni simbolico. Questo Pinocchio di Benigni, snobbatissimo da Hollywood e che aveva fatto prostrare la critica, rischiava di essere maschera stretta e sghemba per il nostro mito di legno. Cresciuti con il la, la, la, lallalero della versione televisiva di Comencini, restiamo felicemente sorpresi a scoprirne la versione musical che ha debuttato, quindici giorni fa, a Milano: regia di Saverio Marconi per la sua compagnia della Rancia e musicato da quattro ragazzi italiani che da un quarantennio circa ci danno dentro con note e accordi memorabili, cioè i Pooh. Roby Facchinetti, Red Canzian, Stefano D'Orazio e Dody Battaglia che non hanno mai fermato la musica, anzi non si sono mai camuffati in frigide messinscene alternative, ma hanno sempre prodotto musica autenticamente pop. 

Un po' come il buon Geppetto hanno composto le musiche di uno spettacolo che non si propone "il fondamentalismo dell'allegria", secondo il proposito di Benigni: semplicemente, hanno reso giustizia al piccolo ribelle che corre la bella avventura del non essere grande e adulto. Con umiltà sull'ultimo numero di Sette, i Pooh ci ricordano come volessero fare "uno spettacolo godibile, per tutti, ma soprattutto un "family show" incentrato sui buoni sentimenti da esportare anche all'estero dove questo burattino di legno è famosissimo”. 

Ennesima interpretazione della creazione di Carlo Collodi che entusiasmò la macchina attoriale di Carmelo Bene. Ne è valsa davvero la pena trasformarsi in licantropi televisivi per godersi, a circa un anno dalla morte, su Rai Due, il grande dimenticato C.B., la sua innocenza perversa e spregiudicatamente nevrotica di Pinocchio. Ricordandoci che i bambini non amano le medicine. Vero è che il magico e irriverente burattino di legno è stato al centro di riletture profonde e sagaci, tra le quali, emerge quella del Cardinale di Bologna Giacomo Biffi, secondo cui, in Collodi, benché fosse agnostico, agisce un'antropologia cristiana. La Fata, sarebbe l'elemento femminile che circola nelle Sacre Scritture e che, in seguito, prenderà corpo in Maria Vergine, espressione della sapienza misteriosa del Vecchio Testamento. Tesi approfondita dal saggio “Ipotesi su Pinocchio” di Mario Palmaro ed Alessandro Gnocchi, dove Pinocchio diventa metafora della “fame d'infinito” e di eternità che si scontra con l'effimero contemporaneo. E, ora, un bel musical su Pinocchio, Lucignolo, Mangiafuoco, il Gatto e La Volpe e gli altri personaggi incoscienti e spavaldi di legno e di carne come noi. E come canterebbero i Pooh: "Chi fermerà il musical"?

28 marzo 2003

ivogermano@libero.it

stampa l'articolo