Teatro. Antonio Latella, sperimentando s'impara
di Myriam D’Ambrosio

Torino, una mattina d’autunno: un gruppo di studenti delle medie va a teatro. Quel giorno era di scena Pirandello: tra i “Sei personaggi in cerca d’autore” c’era una giovanissima Lina Sastri diretta da Giuseppe Patroni Griffi e, in mezzo al pubblico, si trovava un ragazzino di terza media che quella messa in scena non se la scordò più. “Fu una folgorazione. La mia è una famiglia semplicissima e io a teatro non ero andato mai – racconta Antonio Latella – guardando lo spettacolo pensai: “Lassù voglio esserci anch’io”. A diciassette anni entrò alla Scuola dello Stabile di Torino diretta da Franco Passatore, il padre del teatro per ragazzi. “La selezione fu lunga e, quando uscirono le liste, cercai il mio nome ma non lo trovai. Stavo per andare via sconfitto, quando la segretaria della scuola mi venne incontro congratulandosi: il mio nome era il primo della lista ma l’emozione mi aveva impedito di vederlo”. Antonio sorride divertito dai ricordi. Dopo Torino, la sua città adottiva (quella d’origine è Napoli), a diciannove anni Latella se ne andò a Firenze per frequentare la scuola di Vittorio Gassman. “Ho iniziato come attore ma capii subito che la mia strada era la regia – dice – recitando per quasi diciotto anni ho imparato l’artigianato. Solo facendo teatro si apprende il mestiere, e poi vivendo la scena da attore e non da regista intellettualizzi meno. Con il tempo ho scelto definitivamente la regia. C’è chi fa entrambe le cose, recita e dirige, qualcuno ci riesce anche bene, ma si rischia di cadere nel capocomicato”. 

Questa estate lo vede impegnato in una trilogia, un progetto che riguarda Jean Genet: “Stretta sorveglianza” (che torna la prossima stagione a Milano), “I negri” e “Querelle”. La scena ideale che Antonio ha trovato per lo “scugnizzo francese”, matricola 192.102, è a Palermo, nel teatro Garibaldi, un posto fatiscente, distrutto durante l’ultima guerra. “E’ il luogo giusto per Genet – conferma il regista – qui ho riunito gli attori che mi appoggiano in questo progetto e conoscono il mio modo di lavorare: chiedo loro un rapporto familiare, devono potersi fidare l’uno dell’altro. Ora si stanno allenando per imparare a salire sulle funi, sembrano dei gladiatori all’aperto, ogni volta mi commuovono per la tenacia. Questo è il senso del fare teatro: è più di un’esigenza personale, è urlare la possibilità di esistere. Qualcuno ha detto che faccio tante cose, ma io vivo con il teatro, sono figlio di operai, non faccio altri mestieri. Quando e se non avrò più nulla da dire saprò trovare il coraggio di starmene a casa”. Ogni volta che Antonio si accosta a un autore per viverlo, sente la necessità di andare fino in fondo al percorso. Non è sufficiente uno spettacolo, bisogna continuare la ricerca mettendone in scena almeno tre. “Solo facendolo conosci l’autore, impari ad amarlo e a odiarlo. Poi però, si deve capire quando è il momento giusto di tagliare il cordone ombelicale e mettere fine al rapporto”, spiega Latella. Anche con Pasolini il giovane regista farà la stessa cosa: dopo “Pilade” sta per nascere sulla scena “Porcile”. Con Shakespeare la medesima operazione, ma sul poeta di Stratford Antonio precisa: “Lo uso come materiale di lavoro perché ti ricorda la concretezza del teatro”. 

Nel corso dei suoi laboratori itineranti ha scelto anche attori non professionisti e ragazzi di strada: “Non faccio provini. I laboratori ti permettono di conoscere chi hai davanti. Il talento sta nella persona, appartiene all’anima e c’è chi l’anima la rivela subito e chi no. I ragazzi devono ricordare la spinta interiore che li ha portati verso un mestiere in cui si espone la carne, l’anima, il sangue: questa è la fragilità dell’attore”. In giro per l’Italia a recuperare talenti e radici, Antonio fa dichiarazioni d’amore: “La città a cui devo tanto professionalmente è Milano. Napoli la amo moltissimo, avverto un forte senso di appartenenza che ho scoperto da poco. Ma negli anni la mia scelta è stata sempre sostenuta, fin dall’inizio, dai miei fratelli: è a loro che dedico questo mestiere”.

31 gennaio 2003

mirid2@libero.it

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