TV: Auditel o non Auditel?
di Paola Liberace


La paradossale sortita di Gianni Morandi nella sua trasmissione del 19 ottobre, in cui ha inveito contro l’Auditel usando proprio uno dei sistemi più accreditati per fare audience – restare in mutande - non poteva capitare in un momento migliore, con la televisione pubblica posta sotto accusa per la perdita di ascolti. L’esternazione, oltre a fruttare ascolti a “Uno di noi”, ha spinto opinione pubblica, entità istituzionali e operatori radiotelevisivi a esprimersi al riguardo: tra recriminazioni, sostegni, sconfessioni e prese di distanza, il campo si è diviso tra coloro che, nonostante tutto, dell’Auditel ritengono di non poter fare a meno, e quelli che invece non aspettavano altro per esprimere tutto il loro dissenso dallo strapotere del sistema di rilevazioni sulla televisione italiana.

Ma anche tra i detrattori ci sono posizioni sfaccettate. C’è chi, come Giulietto Chiesa o Renzo Arbore, ha criticato il campione prescelto, troppo esiguo o composto in modo discutibile, e chi, come l’ex sottosegretario Lauria, ha fatto notare come uno strumento puramente orientativo venga impropriamente interpretato come prescrittivo. Le critiche al metodo sembrano meno mirate: contestare la base statistica dell’Auditel equivale a mettere in discussione la possibilità di effettuare ricerche quantitative sugli ascolti radiotelevisivi, se non addirittura l’utilizzo tout court dei panel di rilevazione. In più, se le preferenze dei “sorvegliati speciali” dell’ascolto vanno a determinati programmi, non si tratta necessariamente di un campione falsato, che privilegia trasmissioni popolari rispetto a trasmissioni colte ma elitarie: questo tipo di osservazioni offre facilmente il fianco a risposte come quella di Lioy, direttore degli Utenti di Pubblicità Associata, che sostiene che “il sistema di rilevazione degli ascolti tv italiano è tra i più attendibili del mondo” e che “di solito è chi perde la sfida dell’Auditel a criticarne la credibilità”.

Più sostanziale il secondo argomento: non viene impugnata la credibilità dei risultati dell’Auditel, quanto le modalità del loro utilizzo, la possibilità di considerarli indicativi per la futura programmazione. A cosa servono realmente i dati statistici d’ascolto? Alla raccolta pubblicitaria, ricorda il ministro Gasparri, rimarcando l’importanza dei parametri quantitativi in un mercato come quello televisivo. Il problema non riguarda soltanto la televisione: dalla carta stampata alla Rete, i media sono sottoposti al giudizio costante di chi acquista gli spazi pubblicitari, e per guadagnarsi la sua fiducia sono disposti a usare mezzi facili per catturare il pubblico. Un problema che per la televisione è stato acuito dalla crescente sfiducia nell’efficacia della pubblicità sugli altri canali, primo tra tutti Internet con le sue promesse rivelatesi false. Ecco dunque che la parola dell’Auditel diventa sacra per chi vende pubblicità, ma questa sacralità viene poi presa in parola dagli operatori e dai critici, estendendosi a giudizio qualitativo.

Riformare il sistema di rilevazioni, concentrandosi “sul contenuto”, toglierebbe alla pubblicità uno strumento importante: basterebbe invece riportare lo strumento dell’Auditel al suo utilizzo appropriato, sottraendo i parametri valutativi del successo dei prodotti mediali alla pubblicità. Questo non vuol dire approfittare per tacciare snobbisticamente di volgarità ogni programma di successo, ma studiare in maniera seria e sfaccettata i format, la loro collocazione e la risposta del pubblico, nel quadro di un media come la televisione in chiaro, che vive di certe logiche – altrimenti sarebbe un media diverso -, e non può tirarsene fuori così come Morandi si sfila i calzoni.

29 ottobre 2002

pliberace@hotmail.com

stampa l'articolo