Quattro nodi per una Società
dell’Informazione
di Andrea Gumina
L’importanza di una Pubblica Amministrazione efficiente ed al
passo con le attese di cittadini ed imprese è ormai più che
evidente: solo uno Stato capace di supportare con velocità e
precisione le esigenze del tessuto socio-economico può garantire i
presupposti per lo sviluppo di un Paese. Dalla metà degli anni
Novanta negli Stati Uniti, e da poco più di un triennio
nell’Unione Europea, molti sforzi si sono concentrati
sull’utilizzo delle ICT all’interno della PA, nel tentativo di
rendere il complesso apparato statale sempre più rispondente ai
desiderata dei suoi utenti. Diversi rapporti – tra cui quelli
dell’EIPA o le ottime ricognizioni del britannico e-Envoy –
descrivono diffusamente quanto sin qui realizzato nei diversi
Paesi. Vorrei perciò utilizzare questo spazio per riportare alcune
open issues sul Governo elettronico: la questione, ovviamente, non
è solo teorica, perché la direzione e l’intensità delle politiche
rivolte a digitalizzare il Paese, prima ancora che la Pubblica
Amministrazione, sono legate a quanto chiare risultino, da subito,
le complessive implicazioni dell’e-Government.
1. Gli ambiti di applicazione. Esiste anzitutto una generale
tendenza a sovrapporre i “servizi elettronici” al “Governo
elettronico”. In questo, sicuramente, non aiuta il sistema di
benchmarking proposto da e-Europe, che prevede un raffronto sugli
“stati di avanzamento” di 20 servizi pubblici erogati a cittadini
e imprese dai Paesi UE. Un simile approccio rischia di sminuire
notevolmente la portata innovativa dell’e-Government, che –
ricordiamocelo – lungi dal puntare solo ad un miglioramento
dell’efficienza sul web degli uffici pubblici, mira a trasformare
radicalmente le relazioni interne ed esterne della Pubblica
Amministrazione: in una parola, dunque, a utilizzare le Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) per incrementare le
sinergie e la complementarietà tra branche dell’apparato statale e
tra queste ed il resto della constituency (cittadini ed operatori
economici). Gli ambiti di applicazione sono dunque ben più vasti
della mera fornitura di servizi (informativi, interattivi o
transazionali) e toccano problematiche legate alla formazione,
alle infrastrutture e a forme di “democrazia elettronica”.
2. Obiettivi e benchmarking. Chiarito che il campo operativo
dell’e-Government è ben più ampio di quanto sinora spesso
prospettato, ne deriva l’importanza di integrare i metodi che
“misurano” l’efficacia dei Piani di Azione nazionali, affinché
tengano conto non solo dei servizi on-line, ma della più
complessiva promozione di una Società dell’Informazione. La
rilevanza di una revisione delle “griglie di riferimento” è
duplice: da un lato, permette di definire ex-ante una serie di
parametri utili a costruire politiche di settore adeguate;
dall’altro, consente di verificare ex-post l’effettiva capacità di
queste ultime di incidere sugli aspetti nodali dell’intero
processo.
3. Le politiche “di struttura”. Oltre alle azioni “dirette”,
occorre creare un’adeguata “intelaiatura” per l’e-Government,
agendo sulla diffusione della cultura digitale e sulla piena
interoperabilità del sistema-Paese. La presenza del digital divide
può essere ridotta, nel breve periodo, da un approccio
“multicanale” nell’erogazione dei servizi elettronici e, ove il
problema non sia la mancanza di familiarità con il mezzo
informatico, quanto l’assenza di capacità economica dei soggetti,
da soluzioni-ponte come i Punti di Accesso Pubblico (con tutti i
limiti, però, legati alla privacy e alla riservatezza). Nel
medio-lungo periodo, una Società dell’Informazione non potrà
prescindere da investimenti ben più ampi di quelli attuali, che
rendano accessibili e diffusi gli strumenti telematici e
consentano di formare le persone lungo tutto l’arco della loro
vita.
Si tratta poi di rendere “interoperabile” l’intero Paese. Ciò
impone, anzitutto, di continuare il grande sforzo in atto nella
compagine amministrativa, per armonizzare i database e i
protocolli informatici dei diversi uffici, e per tramutare
processi, strutture e procedure interne da verticali e
verticistiche a orizzontali e sussidiarie – basate cioè sulle
esigenze degli utenti e sul decentramento delle basi informative e
dei centri decisionali. Secondariamente, perché il Governo
elettronico smetta di essere esclusivamente una modalità per
interfacciare PA e resto del mondo, è indispensabile far sì che
l’intero novero degli agenti sociali venga portato “in rete”, e
reso così del tutto interoperabile: il che necessita di
infrastrutture diffuse, costi di transazione vicini allo zero,
risorse umane formate e un sistema di identificazione digitale che
sia universale ed affidabile.
4. Il ruolo del pubblico e del privato. Una così complessa
operazione non potrà mai essere totalmente realizzata attraverso
le risorse pubbliche. Sarà necessaria una riflessione seria, e non
inquinata da preclusioni ideologiche, per valutare se la gestione
di alcuni servizi elettronici da parte dei privati, possa
risultare più efficiente rispetto ad una loro diretta erogazione
da parte dell’apparato pubblico. In questo modo, la PA potrebbe
non dover perseguire sempre ed obbligatoriamente soluzioni
“interne”, dedicandosi piuttosto ad operazioni di struttura, alla
definizione delle linee strategiche e, naturalmente, alla
regolamentazione delle condizioni praticate dagli e-Government
Service Provider a cittadini ed imprese.
D’altra parte, sarà comunque indispensabile incrementare lo sforzo
per un uso ottimale dei fondi pubblici: in questo senso, Paesi
come l’Italia possono – e debbono – utilizzare non solo le somme
stanziate per i Piani di e-Government nazionali, ma sfruttare il
complesso di risorse europee, in particolare i Fondi Strutturali,
per favorire la diffusione delle conoscenze e la creazione di vere
e proprie aree di eccellenza per l’ICT. Il coinvolgimento e
l’effettiva interattività tra livello centrale e locale della
Pubblica Amministrazione, attori economici e sistema finanziario,
genererebbero non solo un utilizzo efficiente e non dispersivo di
quanto a disposizione, ma anche un effetto indiretto sullo
sviluppo delle aree più depresse del nostro Paese.
La strada da compiere per raggiungere i punti di eccellenza che la
rivoluzione digitale prefigura, è dunque ancora lunga, e passa
anche per una riconsiderazione più generale delle prospettive e
delle potenzialità del Governo elettronico. Le opportunità che
esso offre per lo sviluppo socio-economico dei nostri Paesi, sono
forse ben più rilevanti di quanto sino ad oggi prospettato:
decisamente più grande, sarà però anche il gap competitivo e
culturale che potrebbe formarsi, tra chi riuscirà a perseguire
l’evoluzione dell’e-Government nella sua globalità e chi si
fermerà invece ai soli “servizi elettronici”.
27 settembre 2002
a.gumina@libero.it
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