Cinema. Fantascienza, l'apparenza inganna
di Andrea Mancia


Dopo il ritorno di fiamma del genere fantasy, con le trasposizioni cinematografiche di Signore degli Anelli (splendido), Harry Potter (discreto) e Dungeons & Dragons (deludente), anche la fantascienza classica – dopo un lungo periodo di stallo – sembra nuovamente in grado di attirare i budget miliardari delle major di Hollywood. Due esempi perfetti di questa tendenza sono “Star Wars Episode II: attack of the clones” di George Lucas e “Minority Report” di Steven Spielberg, attesi rispettivamente per maggio e giugno sui grandi schermi di tutto il pianeta.

Si tratta, almeno in teoria, di due tipi opposti di fantascienza. Quella tutta azione, avventura ed effetti speciali della saga di Guerre Stellari contrapposta a quella intimista e psicologica di Philip K. Dick, che nel 1956 ha scritto il racconto breve da cui è tratto “Minority Report”. Ma l’apparenza, almeno questa volta, potrebbe ingannare. Andiamo con ordine.

Il nuovo episodio di Guerre Stellari (secondo su sei, in ordine cronologico) racconta la trasformazione di di Anakin Skywalker in Darth Vader. Un passaggio di un Cavaliere Jedi al lato oscuro della Forza che non può non avere ripercussioni sulla trama e sulle atmosfere de “L’attacco dei cloni”. Secondo lo stesso Lucas, Episode II è un “film molto più dark di Episode I, probabilmente il più dark di tutta la serie”. Un cambiamento di toni, e prevedibilmente anche di ritmi, che potrebbe spiazzare il pubblico affezionato al respiro epico e avventuroso della saga. Lucas è consapevole di questo rischio. E mette le mani avanti: “In fin dei conti io devo raccontare una storia – dice – è questo il mio obiettivo primario fin da quando abbiamo iniziato a lavorare sulla sceneggiatura. Sapevo che la trama sarebbe stata molto dark, come so che il film potrebbe anche non avere molto successo, proprio per questa sua caratteristica. Ma è stata comunque la cosa giusta da fare, almeno dal mio punto di vista. Del resto, non avevo alternative. Non potevo certo prendere una storia che di base è molto, molto dark e renderla una storia felice. Perché, semplicemente, non lo è".

Insieme ad un episodio di Star Wars che si annuncia più esistenzialista del previsto, però, arriverà un film tratto da un lavoro di Philip K. Dick che potrebbe contribuire a modificare l’idea che il grande pubblico si è fatta, almeno negli ultimi anni, del prolifico scrittore di Chicago scomparso negli anni Ottanta. “Minority Report”, infatti, si presenta come un thriller fantascientifico in cui Spielberg non ha esitato a servirsi delle indubbie capacità atletiche di Tom Cruise per rimediare, almeno in parte, alla debacle finanziaria di AI (Artificial Intelligence). Le atmosfere cupe ed inquietanti di Blade Runner (tratto dal racconto di Dick “Do Androids Dream of Electric Sheep?”, il cui problema centrale è impossibilità intrinseca di definire compiutamente il concetto stesso di umanità), lasciano dunque spazio alle acrobazie di un poliziotto del futuro, braccato dai suoi stessi colleghi, in una società in cui i crimini vengono puniti ancor prima di essere commessi, grazie alle premonizioni di una “unità speciale” formata da detective dotati di poteri paranormali. Una sorta di fuga dal Nirvana del giustizialismo condito da effetti speciali di alto livello: non precisamente un esempio cristallino di fantascienza psicologica.

Due film, insomma, che potrebbero rivelarsi assai più distanti tra loro di quanto di sarebbe potuto dedurre dall’appartenenza allo stesso genere, quello della science-fiction. E per cause opposte, ma simmetriche, che rischiano di spiazzare sia i fan della saga di Guerre Stellari che gli appassionati di Philip K. Dick. Ma l’unicità della fantascienza, probabilmente, sta proprio in questa sua inesauribile capacità di disorientare il lettore o lo spettatore. Non c’è niente di più imprevedibile ed affascinante del futuro.

25 aprile 2002

anmancia@tin.it

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