Cinema. Come cacciare di casa tuo figlio
di Cristiana Vivenzio
Finalmente. Dopo l’ennesimo film sulla generazione dei quasi
trentenni in crisi post-adolescenziale, sui ritardi di crescita
dei figli dei figli del ’68, sull’incapacità di questi manager e
professionisti del terzo millennio di assumersi ogni qualsivoglia
responsabilità, sulla totale inettitudine degli stessi di ridurre
una complessità sociale che troppo spesso, e inesorabilmente, finisce
per schiacciarli sotto il peso della frustrazione e
dell’insoddisfazione. E poi ancora, dopo l’ennesima riflessione
sulla generazione “dai quaranta ai cinquanta”, sui fallimenti
educativi ed esistenziali dei genitori-amici, sulla crisi della
coppia di mezza età, sulle storie diverse ma simili degli uomini e
delle donne incapaci di raccontare a loro stessi e agli altri i
propri limiti e i propri insuccessi, finalmente – dicevo – in
risposta involontaria a tutto ciò è uscito anche nei cinema
italiani “Tanguy”.
Ispirato a un caso italiano realmente accaduto, la denuncia di un
padre contro il figlio ventinovenne, laureato, ancora alle
dipendenze della famiglia perché in cerca di lavoro consono alle
proprie aspettative – un caso che, tra l’altro, è notizia di pochi
giorni fa, si è risolto con il respingimento da parte del giudice
della denuncia di un padre, evidentemente, esasperato – il film è
l’altra faccia della medaglia, che magari non si vede, ma esiste,
del nuovo rapporto tra genitori e figli. Tanguy è il ventottenne
eterno studente, il figlio unico di professione, sinologo - o
qualsiasi altra cosa - per passione, il lucido interprete delle
proprie razionali manie. E i genitori di Tanguy sono i genitori di
Tanguy. Coloro che lo hanno reso esattamente così com’è,
assecondando i suoi comportamenti, avallandone i capricci,
accettando fino al parossismo il suo affettuoso egoismo. Ma come
liberarsi, facendo ricorso ad ogni mezzo, del proprio, amatissimo,
rampollo? Questa la trama di un film che sicuramente piace per la
sua sottile, a tratti assurda ironia.
Uno spunto di per sé esilarante cui si aggiunge una scelta
perfetta degli attori e nella connotazione dei personaggi: chi non
ha trovato fin dall’inizio – e poi, sempre più fino al recupero
nel finale – insopportabile l’inattaccabile figlio-modello Tanguy?
Chi non ha trovato azzeccatissima l’isterica, vispa e contrastata
nei sentimenti Edith, nell’interpretazione di Sabine Azéma? E chi
non ha colto in Paul Guetz (nel film André Dussollier) la figura
del padre decisionista ma affettuoso? Tanguy è una conferma per il
cinema francese di questi ultimi mesi, che, dopo “L’apparenza
inganna” e “Il favoloso mondo di Amélie”, con l’ultimo lavoro di
Etienne Chatiliez rinnova la convinzione dei più di una rinascita
di idee e di filoni. Una visione ironica e a tratti surreale della
vita che, pur nell’assoluta differenziazione di genere, certamente
non tradisce in qualità la tradizione cinematografica
esistenzialista d’oltralpe.
12 aprile 2002
c.vivenzio@libero.it
Francia, 2001. Regia: Etienne Chatiliez Sceneggiatura:
Etienne Chatiliez e Laurent Chouchan.
Musiche: Pascal Andreacchio. Con: Sabine Azéma, André Dussollier, Eric Berger, Hélène Duc, Distribuzione: Lucky Red.
108'
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