Teatro. I tre volti di Erodiade
di Myriam D’Ambrosio
Erodiade. Un nome tragico che evoca peccato, menzogna, adulterio,
lusso, perversione. Una regina biblica che subisce il dominio
della passione e dalla passione è guidata come un cieco dal suo
cane. Per circa trent’anni Giovanni Testori ha pensato questo
personaggio femminile degno di far sentire la sua voce e il
tormento che la lacera. La prima stesura del dramma dedicato a
Erodiade risale al 1962 e Valentina Cortese avrebbe dovuto
interpretare la concubina di Erode Antipa, fratello del suo
legittimo marito Filippo, entrambi figli di Erode il Grande, causa
di disperazione per molte madri del suo regno. L’Erodiade I, però,
non fu mai messa in scena. Toccò ad Adriana Innocenti vestire i
panni dell’ambigua signora (intorno ai primi anni Ottanta) in una
seconda stesura scritta da Testori, L’Erodiade II, appunto. La
terza e definitiva versione è di dieci anni dopo e viene inserita
dall’autore nei Tre Lai, trittico di lamentazioni di tre grandi
madri: oltre alla nostra Erodiàs, madre di Salomè, troviamo
Cleopatràs e Maria di Nazareth, chiamata Mater Strangosciàs. E’
Cristina Pezzoli con la sua regia e i tagli apportati qua e là, a
costruire un percorso garantendo unità a un personaggio con
trent’anni di gestazione alle spalle.
Lo spettacolo Erodiadi (fusione delle tre) è andato in scena al
teatro Franco Parenti di Milano (Spazio Pirelli) dal 20 febbraio
al 3 marzo. “All’inizio ci troviamo di fronte a una ricca borghese
divorata dalla passione carnale per Giovanni Battista – spiega la
regista – una signora che fa fatica a rivelarsi. Si passa da una
lingua decadente, da un manierismo di tragedia alla tragicommedia.
Mi piace Testori e il suo linguaggio pieno di neologismi. E’ una
scrittura che richiede la capacità di passare dal drammatico al
comico con disinvoltura”. Milvia Marigliano incarna Erodiade,
femmina rosa dall’invidia per la figlia adolescente. “E’ una
nobildonna abituata ad avere tutto ciò che desidera – dice Milvia
– una donna non più giovane che sta perdendo il suo fascino di
maliarda, innamorata di un giovane culturalmente, socialmente e
moralmente opposto a lei. Erodiade gioca con la sua sessualità e
con la testa mozzata del Battista che lei ha fatto uccidere perché
era l’unico modo di possederlo”. Una punta di feticismo per questa
donna oppressa dalla solitudine che, nel procedere del racconto,
fa emergere la vera disperazione, diventa autentica. “Testori ha
lavorato molto su Erodiade sentendo sempre una certa
insoddisfazione – aggiunge Milvia Marigliano – ma alla fine trova
il linguaggio giusto. Nello spettacolo il personaggio compie un
percorso intimo e psicologico. Mettendo insieme le tre stesure si
va da un italiano aulico alla lingua usata da Testori e,
lentamente, ci si dimentica della regina biblica per incontrare
una donna. Viene fuori un unico personaggio, non tre donne
diverse. E’ uno spettacolo moderno costruito in maniera asciutta e
che insiste sul linguaggio”. La perfetta fusione dei
rimaneggiamenti di Testori compiuta da Cristina Pezzoli è, come
dichiara Milvia, “frutto di una lenta sperimentazione.
Sperimentare è importante quando si ha la possibilità di procedere
senza la fretta delle prove e i tempi che stringono, come ha
insegnato Peter Brook. Con Cristina provavamo con calma e ogni
volta apportava cambiamenti pazzeschi. Io mi chiedevo perché, ma
poi capivo che era necessario. La sperimentazione si può avere
anche con il teatro di parola”.
Appare dal fondo della scena, emerge dalla luce avanzando verso il
buio. Poi, lenta, annoiata, assorta in un pensiero, accende
fiaccole che la circondano. Eccola: si muove su tacchi altissimi
calpestando tavole di legno grezzo, lo sguardo coperto da un paio
di occhiali scuri e il corpo avvolto in una lunga pelliccia. Una
ricca signora dei nostri giorni, una che ha dato scandalo, una
nobile, una vip abituata alle prime pagine della cronaca mondana.
Ma la sua anima è antica. Della regina biblica resta ben poco.
Niente superbia o baldanza in questa donna matura e passionale.
Nel suo lucido e disperato monologo, che nella sua mente diventa
dialogo, con la testa sanguinante di Giovanni chiusa in una busta
di plastica, passa da un linguaggio tragico e misurato, all’urlo
violento, alla parola verace e tragicomica di Testori che lascia
spazio al riso, alla battuta sguaiata di una donna sola col suo
desiderato fantasma vestito di pelli e amante del deserto.
Erodiade si rivela, nuda nel suo delirio. Via la pelliccia che
suggerisce l’idea della regalità e della pesantezza, via le scarpe
scomode, via il vestito dorato, patetico ricordo del potere, dello
sfarzo. Via gli occhiali per mostrare la faccia, la verità degli
occhi. Scalza, in una sottanina di seta bordeaux, Erodiade
racconta la rabbia, il rancore, la delusione, il rifiuto, la
passione, la provocazione, la morte. Le parole della regina
mettono in scena i tre protagonisti della sua mente: Erode,
Salomé, Giovanni. L’odio e il disprezzo per il primo, l’invidia e
il dolore per la figlia persa tra le braccia del suo vecchio zio e
amante, e il fuoco che la divora pensando al profeta. Una vita
intera spesa ad ottenere onori conditi alla vergogna.
Milvia Marigliano è una Erodiade che aiuta il pubblico a ridere
con lei e di lei, che si fa beffe della sua fragilità e che non ha
più nulla da perdere. Ha già perso tutto e da tempo. Insegue
l’innocenza e la verità. Paradossale. La verità e l’innocenza sono
racchiuse in una busta di plastica sanguinolenta. Lui l’ha portata
ad accarezzare un sogno. Lui l’ha provocata e sconvolta, messa in
discussione, aggredita verbalmente. Scomodo Giovanni. Era più
semplice diventare amanti, questo pensa lei. Lei che ottiene tutto
a costo di uccidere pur di avere. Un pezzo di cadavere diventa
trastullo, feticcio, interlocutore. Erodiade parla ancora con il
profeta. L’unico che le resta oltre la morte, l’unico giocattolo
macabro, insieme a una vecchia sedia ribaltata sulla scena. Una
sedia di legno, come quelle delle osterie dove gli ubriachi fanno
il loro monologo rispondendosi da soli. La sedia è come lei:
rovesciata, usata, logora. Nessun trono né ricchezza. Termina il
delirio. Tutti i passaggi dell’anima sono stati urlati.
Milvia-Erodiade si alza, infila di nuovo le sue scarpe e nasconde
il corpo nella pelliccia. Spegne le fiaccole e con passo pesante,
così com’è emersa dal fondo della scena, scompare.
12 aprile 2002
|