Sanremo. Il trionfo della "pippità"
di Ivo Germano

Che Sanremo sia Sanremo è pelle nazionalpopolare, ogni anno sempre di più. Con Pippo Baudo, lo è di più. L'utopia del Sanremo rinnovato, alla Fabio Fazio, per intenderci, è stata con sagacia registica e pieno senso spettacolare sfatata e torna ad essere riproposta la "pippità", quel grande centro spettacolare che tutto garantisce e tutto muove. Della Manuela Arcuri, che certamente farà impennare l'arruolamento nel corpo dei carabinieri, vera e propria icona della gaya italica e fascinosa impronta di bellezza meridiana, nonché della Vittoria Belvedere, Gwyneth Paltrow, già le signore e le maestrie dello stile hanno almanaccato. Vallette?; coadiuvanti il rito della pippità?; bellezze italiane come se ne trovano a migliaia, all'uscita della palestra o in coda in discoteca. Ma questo è Sanremo, con giurie un pochettino maldestre, tali da relegare il Mino Reitano, ritrovato chansonnier con il bellissimo testo di quel poeta post-contemporaneo che è Panella - detto per inciso quattro o cinque riguzze per un tal Lucio Battisti -, di una Patty Pravo che da buona nipotina di Ezra Pound ha poetato poesia musicale e immagologica in ogni serata del Festival, infine, di una massiccissima ed errabonda Loredana Berté, che non ha ancora perso la virtù di graffiare cantando.

E' stato anche il Sanremo più situazionista d'inizio secolo. Al nazionalpopolare si è sovrapposto lo spettacolare vivace, integrato e futurista del bersaglio liberale di Giuliano Ferrara nei confronti di Roberto Benigni, comico, leader politico, premio oscar e icona del cinema nazionale. Siccome allo scherzo una certa critica luttuosa e benpensante non è abituata affatto è capitato che per giorni e giorni non si sia parlato di un più che decoroso Festival di Sanremo, ma di una perniciosa offesa alla libertà di pensiero e di parola. E che diamine. I lancieri benpensanti, gli artificieri alle prese con micce inesplose del politicamente corretto hanno fatto il contrappunto alle famiglie e famigliole italiane che, spaparanzate sulla poltrona, osservavano, ascoltavano e, come di norma, criticavano gli attori e le attrici, i cantanti e le cantanti, sobbalzando ogni volta di fronte alla prova di resistenza inguinale del Baudo nazionale. Quasi che la "palpatio" in oggetto fosse l'antidoto italiano e popolare alla globalizzazione che avanza, allo spettacolo per lo spettacolo. Quel che ragazzi nelle sagre paesane amano fare agli amici esclamando: "Che c'hai? Tutta roba tua?". Prima Fiorello, poi Teocoli, e addirittura Sabrina Ferilli si sono cimentati prima della avveduta rivendicazione benignesca nell'ultima serata di Sanremo.

Che poi abbiano vinto i Matia Bazar, che poi, accidenti, sia arrivata seconda Alexia, ragazza italiana global, e terzo il sempre pur ottimo ed eterno Gino Paoli, e solo quinto quell'autore prestato alla canzone che risponde al nome Enrico cognome Ruggirei, rappresenta un dato che passerà agli annali. Certo, avremmo voluto essere vicini a Giampiero Mughini, per condividere in diretta le reazioni del dopofestival, e al come sempre delicato e magnanimo Enrico Vanzina, che ha dato voti alle giovani proposte come se fosse il loro fratello maggiore. Menzione speciale e un bravo bravissimo a Francesco Giorgino.

15 marzo 2002

ivogermano@libero.it








 

 

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