Privatizzazione RAI: alla ricerca della
terza via
di Paola Liberace
L’ipotesi di privatizzazione della televisione di stato è venuta
ultimamente alla ribalta in modo prepotente. Il dilemma tra
televisione statale e televisione privata interessa in realtà una
ambito più ampio e interessante della vita pubblica rispetto al
conflitto di interessi e ai battibecchi tra maggioranza e
opposizione. Se da un lato la mancanza di una TV di stato sembra
mettere in pericolo l’esigenza di un servizio pubblico nei
confronti dei cittadini, d’altro canto una televisione pubblica
sottomessa ai voleri mutevoli delle coalizioni di governo risulta
certo meno indipendente nelle mani dello stato, che di privati che
potrebbero svincolarla dalle logiche della “conquista” e della
conseguente spartizione ad ogni nuova elezione.
Scorrendo i dati sui media forniti dal World Development Report
2002, ci si rende conto che la percentuale di possesso statale
della televisione, in 97 nazioni del mondo prese in esame, è
mediamente superiore a quello degli altri mezzi di comunicazione
di massa – ad esempio la stampa. Le spiegazioni ipotizzate dagli
estensori del rapporto vanno dal costo imprenditoriale piuttosto
elevato del possesso televisivo alla limitatezza delle frequenze
disponibili, ragione, quest’ultima, che diviene obsoleta appena si
volge lo sguardo all’evoluzione delle frequenze e degli standard
di trasmissione. Una cosa è certa: dati così significativi sulla
preferenza dello stato per il canale televisivo rendono
implausibili giustificazioni come quella dell’interesse statale
per l’informazione dei cittadini – che sarebbe altrettanto
efficacemente perseguito attraverso altri mezzi di informazione.
La potenza comunicativa del mezzo televisivo non è sconosciuta a
nessuno, così come l’ingenza del sistema di potere che gravita
attorno ad esso. La possibilità di utilizzare entrambi secondo i
fini del governo in atto non deve essere considerata remota.
Se esistono casi in cui il possesso privato della televisione ha
generato squilibri e parzialità, soprattutto in paesi in via di
sviluppo, in generale secondo il rapporto esiste una correlazione
regolare tra la presenza statale nei media e la minore garanzia di
controllo dell’informazione e d’indipendenza dal potere
costituito; come eccezione, il rapporto cita tra gli altri il caso
della Gran Bretagna, che ha stabilito un meccanismo di protezione
del network statale BBC dall’interferenza del governo nei
contenuti e nella programmazione. Una sola rete, nazionale ed
autonoma: questa la soluzione che la più antica democrazia del
mondo ha adottato per preservare insieme la nozione di servizio
pubblico e l’efficacia della comunicazione. Vale la pena di
prenderla in considerazione nel dibattito di casa nostra, come
terza – e più sensata – alternativa tra una drastica vendita ed
una televisione di stato eternamente lottizzata.
1 marzo 2002
pliberace@hotmail.com
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