Tv. “Cocktail d’amore”: revival dei favolosi anni Ottanta
di Paola Liberace

Tra i tanti programmi che negli ultimi tre anni si sono dedicati alla riscoperta degli anni Ottanta, “Cocktail d’amore”, in onda su RaiDue il lunedì sera, brilla di luce propria; e non solo per i lustrini degli abiti o del trucco degli ospiti, ma per il cocktail - letteralmente - riuscito di buona televisione. A cominciare dalla conduzione di Amanda Lear, ironica ma anche pacata, senza vuoti né ansie, perfettamente a suo agio tra gli ospiti, suoi vecchi compagni di lavoro. Per continuare con l’inserimento all’interno del programma di una sit-com, avulsa dalle interviste e dagli interventi di Amanda, con protagonisti Massimo Coppola ed Enrico Silvestrin.

Si tratta di un mini sceneggiato dal sapore vagamente morettiano: i battibecchi dei due protagonisti starebbero bene all’interno di un “Ecce Bombo” riveduto e corretto, critico e insieme nostalgico verso i tempi che furono. In ballo stavolta non c’è la borghesia bersagliata dalla contestazione giovanile, ma lo stordimento televisivo di luci e paillettes che ha accompagnato l’infanzia di molti di noi, amato e odiato insieme. Tra le pareti della stanza in cui sono ambientate le scenette di Coppola e Silvestrin troneggiano cimeli d’epoca come la foto dell’Italia del 1982: ma a farla da padrone è l’apparecchio televisivo, di “spalle”, dal quale si sente provenire l’eco degli spettacoli citati da Amanda Lear e mostrati ai telespettatori. La televisione, il televisore, fa così da punto di congiunzione tra le interviste e la sit-com, tra l’analisi e l’ironia, tra la nostalgia e lo sberleffo.

Gli spezzoni ripescati dal programma, stavolta, non sono tratti soltanto dalle trasmissioni Rai - come è successo spesso nelle trasmissioni di revival delle emittenti di stato - ma anche da quel calderone di effetti speciali entusiasti ed un po’ primitivi che furono i primi show di Mediaset. Che emozione rivedere la sigla della Premiatissima di Cecchetto, con le stelline che scendevano sul video e la scia lasciata dal titolo del programma, le esibizioni in playback degli ospiti, le inquadrature sui conduttori, lette da una telecamera che non aveva ancora scoperto pienamente il senso della profondità (un po’ come ammirare i dipinti medievali dopo quelli rinascimentali). Non solo musica, non solo show, ma un’intera filosofia televisiva, in corto circuito con altre due - la sit-com e l’intervista in studio -, che finisce per tirare fuori il meglio di ciascuna.

25 gennaio 2002

pliberace@hotmail.com




 

 

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