Zelig 5. Leonardo Manera, il triste di successo
di Myriam D'Ambrosio


Salò sul Garda, Capodanno 1984: un adolescente di diciassette anni in veste di prestigiatore, si esibisce per la prima volta in un affollato locale. "Frequentavo ancora il liceo - racconta Leonardo Manera, cabarettista consacrato da Zelig - conoscevo il mago Aime, famoso a Salò e dintorni e mi affascinavano i giochi di prestigio. Contemporaneamente all'Università (ero iscritto alla facoltà di Giurisprudenza a Pavia) mi dedicai alla magia comica per qualche anno. Poi, chiusa la pausa universitaria, frequentai vari corsi di teatro e scelsi di fare cabaret. Giravo tutti i locali di Milano. Nel 1993 vissi la mia prima settimana allo Zelig insieme ai Fichi d'India che già avevano un grande riscontro di pubblico. La loro comicità può piacere tanto o non piacere affatto, ma la realtà è che nell'arco di sei puntate televisive di Zelig sono riusciti a imporsi". Leonardo parla con la dolcezza che gli appartiene (e che rappresenta senz'altro un'arma di successo presso il suo pubblico) e si sofferma volentieri sugli ottimi rapporti umani e professionali con tutta la "ciurma" di Zelig, e in particolare con "Flavio Oreglio, Natalino Balasso e Ale e Franz c'è una solida amicizia - sottolinea il comico. Abbiamo iniziato più o meno tutti insieme tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta. La nostra si può definire un'espressione generazionale di comicità (l'età media oscilla dai trenta ai quarant'anni), un modo omogeneo di intendere la comicità pur essendo diversi nel proporla. Mi piacerebbe fare uno spettacolo teatrale tutti insieme, Ale, Franz, Sergio Sgrilli, Natalino e io. Siamo abituati a esibirci insieme. A Zelig funziona così e a pensarci è una cosa strana perché il cabarettista, in genere, è un individualista. Giancarlo Bozzo, al contrario, cerca sempre di aggregare persone ed è questa la cosa bella del nostro ambiente: Zelig è una sorta di laboratorio, un punto di ritrovo per i comici dove si sperimenta in continuazione e si sacrifica volentieri una parte dei propri applausi recitando con gli altri".

Ma il desiderio professionale più grande che Leonardo confessa è la realizzazione di una tournée teatrale, uno spettacolo di più ampio respiro (sempre in chiave comica) con spazi di narrazione. "Io vorrei riuscire nel tempo ad essere meno prigioniero della risata a cui noi comici restiamo sempre molto legati negli spettacoli - ammette Manera. Vorrei portare interamente me stesso davanti al pubblico. Noi cabarettisti siamo anche autori e il 70 per cento dell'ispirazione per i testi è autobiografica. L'occhio attento sul mondo e su se stessi non deve mai distrarsi, altrimenti si rischia di inaridire. La scrittura, qualsiasi forma di componimento, è una forma di superamento del dolore - e qui la voce di Leonardo assume un tono di tenerezza struggente - un esorcismo contro la malinconia e la pena d'amore. Si può creare "usando" una delusione sentimentale", afferma Leonardo scoprendo qualche ferita. Agli spettatori piace quando un attore gioca con le proprie debolezze di uomo e con gli eventi spiacevoli che capitano nella sua vita come in ogni altra. "Il pubblico che preferisco è quello che viene per ascoltare e non per giudicare - rivela il comico (ma il pubblico, si sa, varia a seconda dei luoghi, dell'età, della cultura) - anche quello di Zelig è cambiato molto nel tempo. Il primo locale al numero 140 di via Monza dove si faceva cabaret si chiamava "Ragoo" e conteneva un centinaio di posti. Era più un pubblico d'élite".

Tornando a parlare del suo passato da esordiente, Manera ricorda: "La mia esperienza nei locali del cabaret milanese è stata positiva. Ho trovato un ambiente privo di pregiudizi dove c'è libertà d'espressione. Tra i comici storici di Milano ricordo Walter Valdi, la mia prima fonte di consigli. Anche Flavio Oreglio ha dimostrato sempre disponibilità. Amo molto la comicità milanese e penso che sia affine a quella napoletana, meno aggressiva e diretta della romana. Tra Napoli e Milano c'è stata grossa contaminazione. Roma e la Toscana somigliano di più: luoghi che mantengono la tradizione spesso chiudendosi a influenze esterne. Io amo il pubblico napoletano così attento, vivace e rispettoso e mi trovo molto bene a Napoli: sono tutti teatranti nell'animo, c'è una vita per strada che non esiste in nessun'altra città".

23 novembre 2001

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