E la guerra in Tv diventa invisibile
di Paola Liberace

Chi in questi giorni, che continuano a sapere di tensione e di paure difficilmente descrivibili, prova a seguire in televisione le vicende della nuova guerra, resta probabilmente deluso dalla qualità e quantità delle immagini trasmesse. Le scene che scorrono sui nostri teleschermi, mandate da telegiornali e supplementi di attualità, sono per lo più scene di repertorio, oppure scorci fugaci di panorami afgani, illuminati dai missili statunitensi. Agli spettatori non resta che affidarsi alle parole e ai primi piani degli inviati, oppure ai dibattiti televisivi, in cui si parla di ciò che non si vede.

Tutta colpa di bin Laden? Il veto sulle immagini e sui comunicati dell’organizzazione terroristica, “imposto” alle televisioni occidentali, si fa certamente sentire; ma la rinuncia ai loro proclami è indice di una più generale impossibilità di comunicazione, per ragioni strategiche e militari. Non si tratta soltanto di immagini: le notizie sui bombardamenti, sugli sbarchi, sugli attacchi vengono centellinate, le notizie sugli obiettivi colpiti e sui successi sono rare e sotterranee. Non per nulla, come ha efficacemente scritto Stefano da Empoli (www.ideazione.com/settimanale
/2.esteri/45_19-10-2001/daempoli.htm
), i terroristi hanno cercato di ottenere la massima risonanza possibile dai media, aggirando l’ostacolo tramite un veicolo che non poteva essere ignorato: quello delle infezioni batteriche dovute alle temibili spore dell’antrace, che viaggiano attraverso un medium nient’affatto avanzato, ma solo per rimbalzare su quelli a più ampia diffusione possibile.

Ancora una volta, una minaccia che non si vede, che può essere soltanto testimoniata a posteriori: una impossibilità che è anche impotenza, che si fa sentire in tutta la sua forza, specialmente da un pubblico di spettatori abituati a possedere e controllare la potenza dei mass media. Questa guerra, cominciata come l’apoteosi della medialità - con la testimonianza drammatica in diretta di un evento quale fino ad ora solo il cinema era stato capace di concepire - è ora ripiegata sul silenzio, sulla segretezza di chi attacca e non conferma, sulla cautela di chi è disposto a tacere e a far tacere persino sui propri dolori, per non concedere il minimo vantaggio all’avversario. Ecco, questo è il punto in cui la civiltà della comunicazione, nata dalla civilizzazione occidentale e dal liberalismo, si confronta con il suo nemico peggiore, quello che, pur avversandola con tutte le sue forze, ne utilizza strumenti e modi per distruggerla, avvantaggiandosi dei suoi stessi mezzi e delle sue stesse condizioni: soprattutto di quella fondamentale, la libertà.

26 ottobre 2001

pliberace@hotmail.com



 


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