Microsoft: il rischio adesso è l'Europa

Il nuovo corso politico inauguarato dalla presidenza Bush si è fatto sentire anche a Redmond, cittadina piovosa alla periferia di Seattle, sperduta nell’angolo nord-ovest della cartina Usa. Negli ultimi vent’anni Bill Gates, il più brillante imprenditore dell’America post-industriale, ha reso celebre il nome di questo piccolo paese: un po’ quello che Berlusconi ha fatto per Arcore. Il grande campus immerso nel verde, la sede operativa di Microsoft, ha gioito qualche settimana fa alla notizia che il Dipartimento di Giustizia Usa vuole cercare una soluzione consensuale per mettere fine al processo antitrust intentato dall’amministrazione Clinton contro il gigante del software. Dopo le piccole vittorie in corte d’appell, insomma, per Microsoft si allontana la minaccia peggiore: lo smembramento in diverse società, una per i sistemi operativi, una per il software applicativo e un paio d’altre per non si sa bene cosa.

Tutti contenti, dunque? Non proprio. Negli Usa – e non solo – c’è già chi è pronto a puntare il dito contro la decisione della nuova amministrazione Usa. I critici puntano il dito contro l’influenza del “big business”, contro i contributi che Microsoft e Bill Gates avrebbero fatto pervenire più o meno segretamente alla campagna elettorale di Bush. Eppure Microsoft, attraverso i suoi gruppi di lobbying (i cosiddetti PAC) è stata salomonica e bipartisan, distribuendo denari a repubblicani e democratici, con spirito pragmatico e assai poco politico. Per il candidato repubblicano è stata certo una buona notizia, dato che in passato l’inventore di Windows si è sempre dimostrato molto più disponibile ad aprire il portafogli per finanziare gli amici democratici. La mente corre al tempo del primo mandato di Clinton, il presidente neo-eletto sotto la definizione di “new democrat”, conservatore in economia e progressista sui temi sociali: allora le foto di Bill & Bill (Gates e Clinton) mentre giocano a golf come due vecchi amici trionfavano su tutti i giornali.

Poi arrivò il secondo mandato, la smania del vice presidente Al Gore di mettere le mani su Internet, un ministro della Giustizia alla ricerca di riflettori come Janet Reno, e infine un accusatore senza tanti dubbi per la testa, Joel Klein. Questo team mise in piedi quello che venne subito ribattezzato “il processo del secolo”, accusando Microsoft – simbolo riconosciuto d’innovazione e spirito imprenditoriale – di essere il nemico pubblico numero uno del libero mercato. Da allora la pubblicistica si è sprecata, ampiamente alimentata dai concorrenti dell’azienda, sempre in prima fila nel denigrare le pratiche commerciali “troppo aggressive” del leader mondiale del software. Hanno visto Microsoft al centro di ogni crimine: la sua sfida tecnologica con Netscape divenne subito un tentativo di strangolamento, l’acquisto di una partecipazione in Apple fu denigrato come tentativo di “corruzione” di un baluardo anti-Microsoft. E intanto il processo andava avanti, ad uso e consumo dei professionisti della regolamentazione e delle strategie legali, e non certo dei consumatori o degli investitori americani.

Oggi molte cose sono cambiate. Janet Reno non è più al Dipartimento di Giustizia, e cerca i riflettori sfidando il fratello di George W. Bush, Jeb, nella corsa a governatore della Florida. Joel Klein, il cavaliere immacolato protagonista delle battaglie per la libera concorrenza, lavora attivamente per la concorrenza: sì, la concorrenza di Microsoft, che gli regala appetitose consulenze da quando si è dimesso dal suo vecchio incarico. Al Gore è stato sconfitto per un pugno di voti in Florida, e George W. Bush inizia a dettare il suo percorso. La strada indicata con la decisione di cercare un’intesa con Bill Gates non è una resa, ma un rilancio del vero ruolo del governo nell’economia: un arbitro al di sopra delle parti, non giocatore attivo al fianco di alcune imprese. Il nuovo corso si fa avanti in America proprio mentre in Europa arrivano notizie “old fashioned”: a fine agosto il commissario alla concorrenza Mario Monti ha annunciato l’ennesimo nuovo procedimento a carico di Microsoft. L’accusa riguarda l’abuso di posizione dominante, per aver inserito il programma Media Player nel sistema operativo Windows 2000. Ed ecco che ci risiamo: Microsoft è monopolista, fa contratti commerciali ingiusti, Bill Gates è brutto e cattivo. A Redmond giocano duro, forse talvolta un po’ troppo, ma è pur vero che “business is business” e che un accordo governo-Microsoft su un limitato numero di pratiche aziendali va nella direzione giusta, e consentirebbe a Bill Gates di consegnare il futuro dell’azienda agli ingegneri, non più agli avvocati. A Bruxelles invece ci si diverte a giocare con direttive e regolamenti, e si cerca – come tutti i bravi politici – un po’ di visibilità sui giornali. Ma nonostante le PR della concorrenza di Microsoft, i consumatori sanno scegliere tra un campione dell’innovazione e un monumento alla “eurocrazia”. (p.zan.)

28 settembre 2001

zanetto@tin.it



 


stampa l'articolo

LINK:

Microsoft
Freedom
to Innovate

www.microsoft.
com/freedom
toinnovate/

 

Dipartimento
di Giustizia Usa

www.usdoj.gov/
opa/pr/2001/
September/
447at.htm

 

Commissario
Europeo alla
Concorrenza

europa.eu.
int/comm/
competition/
index_it.html