Europa e Internet. Falsi nemici e abbagli legislativi
di Giuseppe Mancini


Buone intenzioni ed inferni giuridici, atto XXVII. L'idea è baldanzosa: un Trattato che impegni i paesi del Consiglio d'Europa ad adottare una legislazione uniforme che aiuti a combattere con efficacia i crimini informatici. Il rischio è inevitabile: l'iperburocratizzazione che anche la ventisettesima e semidefinitiva versione, riveduta e corretta, contiene con convinzione. Internet è libertà: ma in nome di fantomatici pericoli, non ultimi quelli pruriginosi, se ne vogliono regolare minuziosamente funzionamento e obiettivi. Il tutto per mettere la Rete in sicurezza, per proteggere le transazioni commerciali online e ricavare nuova linfa per l'economia del Vecchio Continente.

Ed allora, la confusione regna sovrana: perché se l'obiettivo da perseguire è la salvaguardia (anzi, lo sviluppo) della nuova economia "Internet led", prendersela con la pornografia, con la pedofilia, con gli xenofobi, con i guerriglieri di tutte le risme, non ha molto senso. Per il semplicissimo motivo che con gli stessi strumenti non possono essere combattuti nemici tanto diversi: da una parte, incalliti criminali organizzati, assorti nel riciclaggio del denaro sporco, che nella telematica hanno trovato un nuovo paradiso (fiscale, ovviamente); dall'altra, napsteriani e masterizzatori di cd casalinghi, sognatori di vecchie e rinnovate utopie e pervertiti di tutte le risme, sicuramente da tenere sotto controllo nel mondo reale, ma assolutamente innocui in quello virtuale.

E combattendo nemici immaginari si finisce per trascurare quelli concreti. Prendiamo gli hackers, gli instancabili sperimentatori d'ogni novità informatica. Con le loro incursioni, mettono a dura prova i sistemi di sicurezza, ne espongono le numerose vulnerabilità, ne suggeriscono i possibili miglioramenti; in sintesi, sono funzionali al miglioramento della sicurezza complessiva del sistema. Sempre, è vero, con malcelata e sprezzante soddisfazione per aver messo in difficoltà "colleghi" meno abili; ma non confondiamo goliardia e criminalità. Gli hackers godono di pessima e poco informata stampa: ed i legislatori assortiti ci sono cascati in pieno.

Questo trattato confusionario non potrà essere efficace. Ma ipotizziamo pure, per un attimo, che lo fosse. Ipotizziamo che, quasi per magia, da Internet sparisse ogni immagine sconcia, ogni istigatore di commerci carnali, ogni arruffatore di popoli, ogni nostalgico di glorie imperiali passate, ogni delinquente, ogni attivista telematico innamorato della libera circolazione dei saperi. Quale sarebbe il prezzo da pagare? Innanzitutto, la censura delle voci dissenzienti, operazione illiberale per definizione; in secondo luogo, l'intrusione della burocrazia nella vita privata di ognuno di noi. Non è sicuramente per partito preso che Stefano Rodotà, chiamato a garantire la privacy dei cittadini, non vede di buon occhio alcune misure del trattato: in particolare, quella che obbligherebbe i provider a conservare le registrazioni di ogni nostra attività in Rete per 7 anni e a mettere questo materiale a disposizione delle autorità giudiziarie. Registrazioni automatiche, senza necessità di una richiesta motivata, che riguarderebbero indiscriminatamente tutti gli utenti di Internet. Mentre i provider verrebbero resi responsabili di come i loro clienti usano i servizi loro offerti: come se la Telecom venisse chiamata a rispondere delle telefonate di Totò Riina. Ma, prima o poi, si arriverà anche a questo.

13 luglio 2001

giuse.mancini@libero.it


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