Hackers a convegno: “Il G8 non ci interessa”
di Giuseppe Mancini


Genova e il G8: gli hackers all'assalto del vertice? L'armamentario, confessato o imaginifico, dei contestatori anti-globalizzazione cresce giorno dopo giorno: le mazze, gli scudi, gli elmetti, i sanpietrini, le maschere antigas della "nonviolenza", gli alianti per planare su Palazzo Ducale, le catapulte per lanciare pesce marcio e letame, gli areoplanini telecomandati imbottiti d'esplosivo, i sacchi di sangue infetto all'HIV, le alabarde spaziali; ora arrivano, minacciosi, i ritrovati del cyberspazio: netstrike, sabotaggi assortiti e variegati al virus, bombardamenti di posta elettronica. Per pianificare e coordinare gli attacchi, l'appuntamento era fissato a Catania, da venerdì 22 a domenica 24 giugno, in occasione dell'Hackmeeting 2001, l'incontro annuale degli hackers italiani. Questa, almeno, la visione di una certa stampa troppo incline al sensazionalismo irrispettoso della realtà. 

I fatti sono altri. Primo, gli hackers non sono vandali, pirati, terroristi del virtuale; essi sono, al contrario, individui curiosi e creativi, dotati di solide e versatili abilità informatiche, impegnati non solo nella speculazione teorica ma soprattutto nelle attività operative, forsennati esploratori di sistemi per capirne il funzionamento e se possibile migliorarli: lo dice anche il Jargon File, il loro testo sacro online. Secondo, a Catania le discussioni tecniche sono state prevalenti: seminari su Linux, Freenet, Bsdcon, sistemi di sicurezza, crittografia quantica. Con un obiettivo che con i sabotaggi nulla ha a che vedere: assicurare la libertà d'espressione e la circolazione dei saperi online, contro ogni forma di censura, sia essa politica o tecnica. Terzo, se pure a Catania si è parlato di cosa fare a Genova, gli animatori di questi incontri-dibattiti non sono stati gli hackers, ma gli antagonisti telematici, attivisti politici tipici del sottobosco dei centri sociali: che non dispongono delle abilità informatiche degli hackers, che pur ne condividono gli obiettivi di fondo (libertà d'espressione e circolazione dei saperi), che però si concentrano su obiettivi più immediatamente politici, specificamente la lotta alla globalizzazione sfruttando le multiformi capacità comunicative della Rete.

A Catania, come all'hackmeeting del 2000 a Roma, gli hackers e gli antagonisti telematici hanno proseguito nelle loro prove d'incomunicabilità. In sostanza, i seminari e i dibattiti organizzati dagli antagonisti telematici - sull'accessibilità, sulle nuove forme di lavoro (e secondo loro di sfruttamento) nella new economy, soprattutto sull'hacktivismo e su cosa fare a Genova - sono stati attivamente partecipati in netta prevalenza da antagonisti telematici. Che, a fine meeting, si sono lamentati proprio dell'eccessivo tecnicismo che pervade il mondo degli hackers. Magari, vorrebbero coinvolgerli nelle loro lotte politiche, ma vengono sistematicamente ignorati, con buona pace di chi si ostina a denunciare il "pericolo hackers". Scrive Ferry Byte (un antagonista telematico di Firenze), a commento dell'hackmeeting: "Viene da domandarsi come mai si tentenna alle proposte di affiancare - anche grazie alla telematica - iniziative di dissenso verso [il G8]." La risposta, banale, è perchè gli hackers non sono interessati, pensano ad altro.

Ma cosa si è deciso a Catania? Cosa si farà a Genova? Ben poco: un netstrike, il contemporaneo collegamento al sito web del vertice, con l'obiettivo di metterlo temporaneamente fuori servizio; la diffusione del messaggio antiglobalizzante con ogni mezzo di comunicazione online disponibile - web, newsgroups, chat, mailing-lists, sms - e con l'obiettivo di influenzare i mezzi di comunicazione tradizionali ("virus mediatici", li chiamano loro). Insomma, per quanto riguarda gli hackers al G8 si potrà stare tranquilli: niente sabotaggi, creatività nella protesta assolutamente innocua, un po' d'informazione indipendente in più.

29 giugno 2001

giuse.mancini@libero.it



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