Manu Chao si politicizza e fa dischi più brutti
di Barbara Mennitti


Con un tempismo prodigioso, anche se ovviamente casuale, che gli permetterà di diventare la colonna sonora della protesta contro il G8 di Genova, arriva nei negozi la seconda prova da solista di Manu Chao, vate e icona dei giovani dei centri sociali, del popolo di Seattle e del movimento antiglobalizzazione. Anche se di nuovo “Proxima estacion: esperanza” ha proprio poco. Diciamo subito, a scanso di equivoci, che amavamo molto i Mano Negra, il gruppo francese di ispirazione anarchica con cui Manu Chao è diventato famoso, e il loro “patchanka”, una mescolanza energica di punk stile Clash e ritmi sudamericani. E anche che il primo lavoro da solista del cantante ispano-francese non ce li aveva fatti rimpiangere: “Clandestino” è un cd bellissimo, ricco di ritmi messicani, brasiliani e afrocubani su cui si accavallavano testi in spagnolo, inglese francese e portoghese. La prova che la buona musica può tranquillamente infischiarsene della politica.

Di “Esperanza”, invece, la cosa più gentile che si può dire è che non aggiunge pressoché niente all’esperienza musicale di Manu Chao. Per tutto l’ascolto si ha la sensazione di ascoltare pezzi del vecchio cd o, meglio, di ascoltare materiale scartato per il vecchio cd. Perché “Proxima estacion: esperanza” è, alla fine dei conti, una brutta copia di “Clandestino” o, come dice lo stesso autore mettendo le mani avanti, una sorella gemella, se si accetta l’idea discutibile che le sorelle sono più brutte dei fratelli. La formula è la stessa: ritornano i ritmi latini mescolati al pop, ritornano le contaminazioni linguistiche e le voci radiofoniche, ritornano addirittura le canzoni, visto che ben due brani (“Mr. Bobby”, un tributo a Bob Marley, e “Homens”) sono chiacchierate sul motivo di “Bingo Bongo” (successo planetario di “Clandestino”) e “La primavera”, “Me gustas tu” e “Infinita tristeza” hanno la stessa base musicale. Manca però un vero spunto brillante e il tutto suona stanco e, a voler peccare di malizia, assomiglia anche un po’ a una furbesca operazione commerciale.

Una parola buona, invece, vogliamo spenderla per “Me gustas tu”, il singolo già diventato tormentone dell’estate, canzoncina d’amore dal motivo accattivante, dolce e semplice, quasi banale come spesso è l’amore, per “Denia” (dedicata all’algerina Khalida Messaoudi condannata nel 1993 dagli integralisti islamici) con le sue litanie in arabo e per “Papito”, il suo organo scordato e la sua gioia da luna park. Certo è un po’ poco e non riesce a nascondere la monotonia di fondo. Sarà che a quarant’anni suonati, Manu Chao è diventato un po’ troppo icona e un po’ troppo poco musicista, ma resta il fatto che ascoltando questo cd la prima cosa che viene in mente è: “Ma io questo ce l’ho già, solo più bello!” Capiamo, quindi, come mai su un sito dedicato allo scambio di cd troviamo l’annuncio di Vigorsol: “Ho l’ultimo cd di Manu Chao, lo cambio con il “vecchio” Eric Clapton”.

29 giugno 2001

bamennitti@ideazione.com

Manu Chao, Proxima estacion: esperanza. Virgin, 2001.


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