Pensieri (e desideri) di un abbonato Rai 
di Paolo Mossetti


Non sappiamo come sarà il nuovo vertice della Rai: ma ci pare di poterne dedurre le caratteristiche, le qualità e le intenzioni, da due costanti storiche nella gestione di quest’azienda. La prima costante è che gli uomini più autorevoli e competenti rinunciano alla presidenza. Una rinuncia sicura e prevista come lo fu quella nel ’97 di Scalfari, Mieli e Fagiani. E tutti per lo stesso motivo: la mancanza di qualsiasi garanzia della loro indipendenza decisionale. La seconda costante è il corale placet con cui le nuove nomine saranno accolte dalla classe politica di tutte o quasi tutte le tendenze o appartenenze, che evidentemente vorrà vedere in esse la rassicurante certezza che tutto cambierà in modo da restare com'è, e cioè che la Rai rimanga quello che è sempre stata: un appannaggio o foresteria dei partiti politici, un'arena di lotte (e di lotti) tra fazioni, gruppi e gruppuscoli, non per assumerne - impresa impossibile - il controllo, ma per impedire che altri lo assuma ed eserciti. Sicché non possiamo nemmeno dire che ne saremo delusi: non ci aspettiamo nulla di diverso.

Crediamo però di poter esprimere a nome dei lettori un paio di desideri che, senza nessuna pretesa d'incidere sulla natura di questo Ente e di raddrizzarne le gobbe, i nuovi venuti, alcuni dei quali ne sono vecchi reduci, anche se saranno - come certamente saranno - costretti a dedicare i quattro quinti del loro tempo a guadagnarsi la sopravvivenza mediando tra le sopraffazioni dei vari Gasparri, Bossi, Storace ed altri guardiani di quei privilegi che nella nostra lingua si chiamano “diritti acquisiti”, potrebbero almeno in parte esaudire. Il primo è di liberarci dal tormento della pubblicità che oltre tutto ci sembra incompatibile col concetto stesso di Ente pubblico, come tale autorizzato ad esigere dagli utenti un canone. Ammettiamo pure che questo non basti ad alimentare un mastodonte come la Rai, che a sua volta deve alimentare (nel senso letterale della parola) sterminate falangi di addetti, ognuno dei quali ha il posto e la carriera garantiti da qualche padrino. Ma ciò non basta a giustificare il bagno d'imbonimenti in cui siamo tenuti quotidianamente immersi. Non si può seguire un programma, nemmeno un Lied di Schubert, senza che «il messaggio» pubblicitario ci piombi addosso, sempre più incalzante, schiamazzante, assordante. Ed è anche a questo che dovremmo pagare un canone?

L'altro desiderio, che purtroppo non crediamo di poter formulare a nome di tutti i lettori, ma di una loro - spero - nutrita minoranza, è una revisione degli orari dei programmi. E’ mai possibile che quelli di buon livello culturale siano regolarmente relegati fra l'una di notte e le sei del mattino? Qualche giorno fa era annunziato: “Il deserto dei Tartari”. Ma per un'ora antelucana. Si prevede l'obiezione: è un film vecchio. Certo: un film di 22 anni fa, è vecchio. Ma non lo è per i giovani al di sotto dei trenta. E vogliamo privarli di questo capolavoro? Certo: i capolavori non fanno audience. Ne fanno molto di più i vari “Colorado” o “Sereno variabile”, o altre trasmissioni-spazzatura. Ma questa obiezione la si può accettare dalle televisioni private, che vivono di pubblicità, e quindi di audience, da cui gl'introiti pubblicitari sono condizionati. Da un servizio pubblico quale si professa la Rai, che come tale impone il canone, la rifiutiamo. A meno che la Rai non diventi, così come accade nel resto d’Europa, del tutto o in parte proprietà di privati. Ma voi vi immaginate la coalizione di centrosinistra che, stretta dalla necessità di stringere accordi con Rifondazione da un lato, e dall’opportunità di un continuo attacco a Berlusconi sul conflitto di interesse, accetti di votare per la svendita di questo totem del pubblico malaffare? Sono molti gli autorevoli commentatori che hanno suggerito, per la sua opportunità anche etica, questa soluzione. Purtroppo né la loro né la nostra voce giungeranno all'orecchio dei potenti. I quali in realtà non hanno il potere di fare nulla, ma hanno quello, totale e assoluto, d'impedire che qualcuno faccia. Sicuramente, se maggioranza e opposizione non avranno abbastanza coraggio, i nuovi titolari daranno ancora più dei predecessori (ed è tutto dire) garanzia che tutto cambierà, ma per far rimanere tutto com'era.

22 giugno 2001

gmosse@tin.it


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