Musica. Bruno Lauzi, spirito libero e inquieto
di Renato Tubére


“Il verde e l’azzurro: sono questi i colori dei miei 63 anni d’età! Sono affezionato a tutte le tonalità del verde della campagna, esattamente come dell’azzurro del mare”. Incontriamo Bruno Lauzi perché ormai, in Piemonte, sono in tanti a descrivere con ammirazione sincera il suo attaccamento alla terra del barbera, orgoglioso presidio dei Conti Incisa di stirpe medievale: a Rocchetta Tanaro. E’ felice di sé, Bruno, e si definisce un cittadino del mondo, nato all’Asmara, in Eritrea, da padre italiano e madre ebrea sefardita, cresciuto nella Genova di Tenco, Paoli e De André, poi emigrato a Varese a correggere le bozze dei primi libri di Piero Chiara e a studiare interpretariato e legge, su e giù per la metropoli meneghina del dopoguerra. “Tendo all’ubiquo!” esclama ad un tratto, e la sua verve di ex cabarettista protagonista di spassosi duetti con i Gufi, Felice Andreasi, Lino Toffolo, Cochi e Renato emerge prorompente nella sua inconfondibile voce, quella di “Ritornerai” e di “Il poeta”, di “Amore caro, amore bello” e di “Genova per noi”.

Gli confessiamo l’adorazione per un vecchio disco in cui esordiva al suo fianco il grande percussionista partenopeo Toni Esposito, con un’impareggiabile versione di “Quelle gent là” di Jacques Brel. Lui, serissimo, dice di aver smesso di scrivere canzoni da tanti anni: ”Ora faccio jazz con i miei amici di sempre per divertimento, di tanto in tanto mi esibisco nelle scuole elementari lombarde, grazie a un accordo con i Provveditorati agli studi, cantando e recitando ai bambini le magiche fiabe di Gianni Rodari, e soprattutto compongo poesie pittoriche, ispirandomi alla natura che mi circonda”. Sfogliamo la sua raccolta di poesie, pubblicata da Edizioni Marittime, “Versi Facili” e noto come nelle sue liriche primeggi il legame di uno spirito libero e inquieto con la natura e con Dio. Molto toccante è ad esempio “Le stanze più alte”, poesia che parla di un disabile fisico che osserva estatico dalla finestra di casa sua lo spettacolo di un tramonto. In un’altra poesia descrive così il suo stato d’animo, quando vive in cima alla sua collina a Rocchetta: “Rifugiamoci qui, finché c’è tempo!/ Un nido di mitraglie a controllar l’accesso alla salita/ e che una buona volta sia finita!”.

E’ qui che la moglie Giovanna, della cui impresa agricola si definisce il facchino finanziatore, produce un barbera degno di nota, grazie al generoso vitigno da lei fatto impiantare una ventina d’anni fa, quando l’avvocato di famiglia era un certo Paolo Conte, per intenderci. La campagna per Bruno significa anche andar per funghi: eccolo inneggiare ai mitici porcini, occasione di spedizioni solitarie del nostro durante i mesi autunnali e primaverili nei fitti boschi vicino casa. Il recupero del Bello e la filosofia del Mitomodernismo appassionano oggi Bruno, che denuncia con grande sgomento la perdita d’interesse degl’italiani per i bei paesaggi e le belle opere d’arte. Tra breve preparerà, dopo l’analogo Cd di canzoni tipiche genovesi pubblicato dalla sua casa discografica Pincopallo, un omaggio al Piemonte, spettacolo di recitazione e canto, con brani di Pavese, Fenoglio e Salgari e canzoni popolari da lui riscoperte, con la partecipazione dei più bei nomi del teatro dialettale d’autore. Quindi darà alle stampe la sua ultima fatica letteraria, intitolata “Esercizi di sguardo”. Il nostro incontro termina con una battuta veramente azzeccata sulla mentalità dei veri contadini piemontesi: “Qual è la prova dell’esistenza di Dio per un astigiano? Il peperone!”. E’ anche la prova dell’umorismo sempre attuale di questo poliedrico artista.

15 giugno 2001

renato.tubere@libero.it

 




 




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IL SITO
UFFICIALE
www.bruno
lauzi.com