Ma il cinema italiano è in crisi d’idee
di Paolo Mossetti 

La recente vittoria di Nanni Moretti al festival di Cannes, salutata dalla sinistra come “rivincita”, non è che un esempio di come l’Italia sia un paese di lobby e di “intellighenzie”. Come saggiamente illustrava Staino in una delle sue vignette, quante altre Palme d’Oro la sinistra dovrà vincere, per consolarsi di una sconfitta elettorale? E poi è giusto che il dibattito sulla sconfitta sia affidato proprio a Moretti, che ha definito Bertinotti una “macchietta”? Non conosciamo a fondo il linguaggio criptato della gauche ma ne intuiamo il pensiero: non è la prima volta che incoraggia e osanna il suo esercito “culturale” quando questo suona la carica d’assalto al nemico. Non è stato un caso che il “partito degli intellettuali” (come sapientemente lo chiama Pierluigi Battista in un suo libro) si sia scatenato in maniera indecente durante le elezioni, cercando in tutti i modi di delegittimare l’avversario di centrodestra, di renderlo ridicolo e impresentabile di fronte all’Italia e all’Europa. E non è un caso che abbia fallito. I nostri intellettuali infatti, smentendo i propri “cattivi maestri”, si sono sempre messi dalla parte di chi picchia più forte e, negli ultimi cinque anni, dalla parte del centrosinistra. Non solo per evidenti simpatie ideologiche, ma anche e soprattutto per motivi ben più “terreni”. Per esempio il finanziamento pubblico al cinema.

Questa scandalosa macchia nel nostro panorama culturale ci dovrebbe far arrossire nei confronti degli altri paesi, non solo dell’America, ma anche dell’Inghilterra o della Spagna, la cui industria cinematografica, pur disponendo di meno risorse pubbliche, se la cava senza dubbio meglio. Finanziare i produttori cinematografici con i soldi di tutti potrebbe a prima vista sembrare un’operazione innocua, a fin di bene. Ma occorre riflettere più attentamente. Se lo Stato offre soldi a dei produttori, pretenderà, specie se questi soldi avranno interessi zero, delle garanzie. Pretenderà per esempio che il film in questione non offenda, per lo meno, chi lo ha finanziato; che non sia diseducativo, politically incorrect, e via dicendo. E questo come si concilia con la libertà di espressione tanto vaneggiata dall’intellighenzia di sinistra? Sarà mai possibile vedere un nuovo “Arancia Meccanica” finanziato dalla Rai? E un film come “Tutti gli uomini del presidente”, quasi un documento sul Watergate, l’avremmo mai visto sui nostri schermi finanziato da D’Alema? Il cinema è anche una critica fra le righe, un’inchiesta scomoda. E se le idee dei produttori e degli sceneggiatori vengono mitigate, regolate, o peggio censurate e manovrate dal governo di turno, non rischiamo di fare un passo indietro?

La cosa peggiore è che quasi tutti film che hanno usufruito del finanziamento statale sono stati dei grandissimi bidoni. Altri sono stati strumentalizzati, come i “Cento Passi” di Giordana che, seppur promosso dal pubblico, era certamente inadatto alla platea degli Oscar, eppure candidato da una giuria chiaramente politicizzata a rappresentare l’Italia al posto di “Malena” di Tornatore (beniamino negli Usa). La crisi che attanaglia il settore ha bisogno di altre soluzioni. Come mai da vent’anni a questa parte gli incassi dei botteghini sono sempre o quasi in calo? E come mai negli ultimi anni, nonostante il finanziamento pubblico, la tendenza non è cambiata, anzi è peggiorata? Nei due anni scorsi nessun film a Cannes, cosa mai accaduta prima, nessuna candidatura agli Oscar. Solo lodevoli ma isolate eccezioni: Benigni e Moretti, che peraltro sono sempre stati benvisti all’estero. Tutta colpa del fatto che i produttori stranieri sono troppo forti? Negli anni Cinquanta, Sessanta ma anche in parte dei Settanta, quando i nostri film andavano a gonfie vele, e andavano forte anche all’estero, il divario tra le nostre case di produzione e quelle americane era ancora più abissale. E inoltre il mercato mondiale non era vasto come oggi, c’era assai meno probabilità di trovare generosi filantropi disposti a finanziare opere dall’incasso incerto. Oggi più che mai convivono kolossal stramiliardari e stravisti con altrettanto ciclopici fiaschi. Quindi non è un problema di soldi, piuttosto un problema di idee.

Negli anni d’oro del nostro cinema il panorama di registi, attori e sceneggiatori era quasi equamente diviso tra le due principali correnti culturali ideologiche del nostro paese: cattolici da un lato, comunisti dall’altro. Entrambe le correnti crearono grandi capolavori, nuovi generi esportati in tutto il mondo; contribuirono a rilanciare l’immagine dell’Italia, con i suoi difetti, con le sue ancestrali anomalie, ma anche con la sua voglia di ricostruire, di progredire, di andare avanti. Dal Sessantotto in poi tutta la cultura ufficiale, come sappiamo, è passata a sinistra, nella sinistra è cresciuta o ha dovuto per forza di cose crescere, per potersi affermare e avere successo. Dai primi anni Ottanta in poi la nostra cultura cinematografica è andata in profonda crisi: ovvio quindi attribuirne le responsabilità al gruppo di potere, ideologico e culturale, a cui faceva parte. La crisi del nostro cinema è stata indissolubilmente legata alla crisi della sinistra: la mancanza di idee, di spunti, di riforme, ha colpito due campi, il cinema e la politica, così apparentemente distanti. Esistono ancora dei discreti, in certi casi eccellenti artisti che in campo cinematografico continuano a regalarci ottime cose. Pensiamo ai già citati Benigni e Moretti, a Olmi, a Scola (questo per citare i registi),ma anche e soprattutto molti “tecnici”, come il costumista Danilo Donati, il compositore Ennio Morricone, il direttore di fotografia Vittorio Storaro. Quasi tutti sono però costretti a lavorare all’estero. O a chiedere all’estero congrui finanziamenti. Poco male, se ciò contribuisce a tenere in vita un mercato malaticcio. Se non abbiamo grandi industrie disposte a spendere soldi non possiamo farci nulla, ma non si può chiedere aiuto allo stato anche in questo. E’ come se - pensateci - un Guccini in crisi di idee chiedesse aiuto al ministro dei Beni Culturali. Certamente ai tempi di Veltroni avrebbe trovato porte spalancate. Ora non sapremmo.

15 giugno 2001

gmosse@tin.it


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