La stanza del figlio: nudi di fronte al dolore più grande
di Luciano Lanna


Niente di generazionale o di politichese. E niente snobismi e autocompiacimenti. Questa volta sono di scena il dolore e il male di vivere. Con la sua ultima pellicola Nanni Moretti si confronta con la vita e soprattutto la morte, con le cose non dette e non dicibili e il tragico inatteso che sconvolge la vita di tutti, senza distinzioni antropologiche o politiche, senza maggioranze o minoranze. La vicenda è quella di una famiglia medio-borghese di provincia. Non casuale la scelta di Ancona per ambientarvi il film, come a simboleggiare la provincia ricca e media per eccellenza. Il capofamiglia, Giovanni, è uno psicanalista; la madre, Paola, cura cataloghi d'arte; i figli, Irene e Andrea, sono due adolescenti senza problemi. Il quadro sembra perfetto: è quello in cui qualsiasi visione minimalista, laicista e "politicamente corretta" vorrebbe richiudere la complessità dell'esistenza. Lo psicanalista cura i suoi pazienti, i cui drammi interiori riescono tuttavia anche a far sorridere. La vita prosegue serena senza strappi. E poi l'irruzione tragica: il figlio Andrea muore improvvisamente per embolia dopo un'immersione.

E' la rottura di tutto, la perdita del centro. E si scopre che il dolore lacera profondamente, sconvolge, divide le persone, anche quelle che si volevano bene. Il padre, abituato per professione a metabolizzare e razionalizzare, scopre improvvisamente la sua fragilità e la sua incapacità a dare un senso. La mamma non fa che piangere. La sorella diventa aggressiva. Tutti si trovano nudi e indifesi. Tutti cominciano a girare a vuoto, a non trovare un senso, tutti si scoprono profondamente soli con il proprio dolore. Le cose accadono alle persone, niente può essere previsto o pianificato. Niente può essere rimosso. E il dolore più pesante per un essere umano risiede forse nella sofferenza e nella morte di una persona cara.

Il film è fluido, non ci sono sfasature o ridondanze. Nessun personaggio violenta la coralità della vicenda. E nonostante la drammaticità c'è anche la via d'uscita, un percorso positivo pur nella tragedia. Una ragazza conosciuta da Andrea durante le vacanze, non sapendo della sua morte, gli invia una precoce lettera d'amore e va, poi, a trovare i suoi genitori insieme al suo nuovo ragazzo e ai suoi nuovi progetti. La sua presenza, la sua manifestazione sono la prova che la vita continua, che si può e si deve andare avanti anche di fronte a chi non c'è più. Il bisogno di dare comunque un senso alla vita, di vedere in essa qualcosa di più alto e importante della banale vicenda quotidiana è l'unico modo, forse, per accettare lo stesso dolore. E la sofferenza è come un segno che cambia: la madre scopre qualcosa del figlio che va oltre l'immagine stereotipata che credeva di possedere; il padre riesce ad apprezzare alcune cose che gli sfuggivano; la sorella lascia il suo ragazzo perché attraverso la sofferenza si ritrova cambiata e in grado di giudicarlo superficiale. Ha scritto benissimo Oscar Wilde: "La sofferenza, per strano che possa sembrare, è il mezzo per cui esistiamo, perché è l'unico mezzo per cui diventiamo coscienti di esistere".

Ancora una volta Moretti non finisce di sorprenderci. Dopo la originale fase giovanile - quella di Io sono un autarchico e Ecce Bombo - e dopo gli splendidi Bianca, La messa è finita e Caro diario, inaugura ora una terza fase, riuscendo a sintetizzare rigore narrativo, caratterizzazione dei personaggi, senso del ritmo e profondità dello sguardo. Il cinema è anche arte, testimonianza esistenziale, segno dei tempi. Come hanno scritto molti critici è un Moretti davvero maturo e cinematograficamente sapiente che, proprio per questo, riesce a farsi perdonare anche le sue realizzazioni meno credibili e più strumentali: Palombella rossa e Aprile. C'è da ben sperare per il cinema italiano.

20 marzo 2001

lucianolanna@hotmail.com

La stanza del figlio di Nanni Moretti. Con Nanni Moretti, Laura Morante, Jasmine Trinca, Giuseppe Sanfelice, Silvio Orlando, Stefano Accorsi. Italia (2001).



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