Film. L’angoscia generazionale tra affetti e barbarismi
di Carlo Roma

L’Impero è accerchiato, stretto com’è dalla morsa dei tanti barbari che si accalcano, con violenza e protervia, alle sue frontiere. E’ afflitto dalla nostalgia dei suoi tempi migliori, dall’ansia di perdere, giorno dopo giorno, il pieno controllo della sua autorità, di dover cedere, una volta per tutte, il suo potere secolare. Lo scontro si profila all’orizzonte. Non c’è molto spazio per la mediazione o per un confronto sereno e costruttivo. E’ pressoché inconcepibile, infatti, dare vita ad un dialogo in grado di ricomporre le eventuali fratture che si dovessero creare fra culture così differenti e lontane fra di loro. Identità opposte, frutto di sensibilità culturali diverse, retaggio di esperienze costruite da un lato con sacrificio e studio, tassello dopo tassello, e dall’altro con la rapidità e la spregiudicatezza consentite da un nuovo modo di interpretare il mondo e di costruirne il futuro. Identità, ancora meglio, incapaci di guardarsi negli occhi e di comunicarsi le rispettive inquietudini e difficoltà, gettando ponti da una parta all’altra della barricata. Non resta altro da fare, almeno in apparenza, che chiudersi nel proprio recinto ed attendere che gli eventi seguano il loro corso.

In realtà, però, a voler ben guardare al di là delle apparenze si possono anche nascondono altri sentimenti. Il senso di soffocamento, determinato dall’avanzata dei presunti nemici della civiltà e dei suoi grandi valori, non strangola, non taglia il fiato, non è soltanto foriero di rovine e tragedie. Nel film del francese Neys Arcand, “Le invasioni barbariche” premiato a Cannes per la migliore sceneggiatura e per la migliore attrice, al contrario, la contrapposizione fra modelli culturali diversi procede verso una lenta ma progressiva riappacificazione. Un processo di crescita, nato da dolore insopportabile che una malattia senza scampo porta con sé, che si sviluppa nell’arco di tutta la vicenda narrata. Ecco, allora, che un giovane manager dell’alta finanza di Londra, rampante e intuitivo, riceve una telefonata proveniente dal Canada. Sua madre, una donna stanca e addolorata, gli fa presente che al padre, il bizzarro Rémy (interpretato da Rémy Giraud), professore di letteratura dalla dubbia fortuna, non restano che pochi mesi di vita. E’ afflitto da un male incurabile e giace su un letto di uno scalcinato e disorganizzato ospedale pubblico della sua città. Ha bisogno di essere assistito. E’ necessario soprattutto garantirgli, per quanto possibile, un’esistenza dignitosa e- chissà – felice. Sébastian,(l’attore Stéphane Rousseau) a tutta prima incerto e riottoso, decide di stabilirsi a Montreal per prendersi cura del padre del quale non ha mai nutrito una buona opinione. Abbandonata la famiglia quando il figlio era ancora piccolo, Rémy, si è messo subito alla caccia di amanti conducendo una vita sregolata: con le sue scelte ha aperto quindi una profonda spaccatura con i figli che lo hanno sentito sempre più lontano dalle loro preoccupazioni adolescenziali, in una prima fase, ed in seguito estraneo alla loro vita adulta.

Nel difficile rapporto fra padre e figlio si fa strada, dunque, il confronto serrato fra l’etica dell’impegno – mediata da una condivisione forte dei principi della giustizia e della libertà– e quella del piacere e del successo facile da conquistare ad ogni costo. Rémy si mette in discussione, rivede le sue stagioni d’oro scrutandole e valutandole. Non ha paura di fare i conti con il suo passato proprio quando il suo tempo si riduce inesorabilmente. Sébastian, invece, applica la logica pragmatica degli affari, il suo orizzonte si proietta soltanto nel futuro, come se non avesse delle radici. Sprovvisto di un retroterra culturale al quale fare riferimento, Sébastian riesce ad avere ciò di cui ha bisogno aprendo semplicemente il portafoglio pieno e grosso. Eppure si stringe, con slanci d’affetto, al padre mostrandogli tutta la sua comprensione e vicinanza. Nonostante l’ironia e la leggerezza con cui viene raccontato il vuoto di valori che sembra calare sulla prospettiva oramai limitata di Rémy, i nuovi barbari procedono sì spediti, ma forse sanno mostrare ancora il loro volto umano.

16 gennaio 2004


crlrm72@hotmail.com

Le invasioni barbariche. Canada/Francia. 2003 Genere: Drammatico. Regia: Denys Arcand. Cast:Rémy Girard, Stéphane Rousseau, Marie-Josée Croze, Marina Hands, Dorothée Berryman, Johanne Marie Tremblay, Pierre Curzi Durata: 99'

 

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