Pil, si stringe la forbice tra Nord e Sud
di Teodoro Brandis
L’attuale crisi economica, se da una parte ha rallentato lo
sviluppo ed il benessere, dall’altro ha ridotto la forbice
esistente tra il Nord ed il Sud: è quanto emerge dal rapporto
Unioncamere-Tagliacarne sul Pil pro capite 2002 delle 103 province
italiane. Se Milano si conferma capolista con 30 mila 21 euro pro
capite (a fronte di una media nazionale pari a 19 mila 676 euro),
Crotone è il fanalino di coda (11 mila 195 euro). Le prime
quindici posizioni restano pressoché immutate, con le storiche
isole del benessere che si riconfermano tali: Bolzano al secondo
posto (29 mila 631 euro) e Bologna al terzo (26 mila 860 euro)
sono seguite da Modena (26 mila 639 euro), Firenze 25 mila 390
euro), Parma (25 mila 171 euro), Belluno (25 mila 69 euro), Roma
24 mila 524 euro) e Reggio Emilia (24 mila 178 euro). Torino (23
mila 769 euro), anche se colpita dalla grave crisi Fiat guadagna
qualche posizione piazzandosi al quindicesimo posto: il fatto è
spiegato dalle aspettative per le Olimpiadi invernali 2006 e dalla
realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità per la
Francia. Purtroppo, per scorgere la prima città meridionale
bisogna abbassare lo sguardo sino al sessantaseiesimo posto, dove
compare Isernia (16 mila 906 euro).
Se nulla è cambiato, dunque, in capo ed in coda, le novità
interessanti giungono invece dalle posizioni centrali. Precipitano
i grandi centri della manifattura locale: Como (20 mila 148 euro),
Lecco (20 mila 410 euro), Prato (22 mila 239 euro) e Pordenone (21
mila 651 euro) perdono decine di posizioni rispetto alla
precedente rilevazione. Questo probabilmente è dovuto all’ingresso
sulla scena europea della concorrenza cinese, come più volte
denunciato dai rappresentanti di categoria. Ma non bisogna neppure
dimenticare che l’apertura delle frontiere europee ha creato uno
scompenso delle esportazioni praticamente a tutte le realtà
manifatturiere continentali: l’assestamento dei prezzi
concorrenziali, ma soprattutto il valore crescente dell’euro, ha
contribuito a peggiorare la situazione. Discorso totalmente
opposto invece per Genova (20 mila 874 euro) e Siena (21 mila
8279) che recuperano rispettivamente tredici e diciotto posizioni
grazie ad un efficiente funzionamento del terziario, settore su
cui hanno puntato per ragioni essenzialmente geografiche. La
cittadina toscana, soprattutto, ha visto fruttare in termini
economici l’ormai decennale strategia di sviluppo turistico
abbinato ad una salvaguardia e promozione dei propri prodotti
agroalimentari. Stesso ragionamento, anche se con risultati meno
appariscenti, vale per Cuneo (23 mila 441 euro), Gorizia (22 mila
41 euro), Savona (21 mila 694 euro). Dai grandi poli industriali,
nonostante il caso isolato di Varese (22 mila 28 euro) che ha
recuperato qualche posizione, non emergono grandi novità: un
segnale che contribuisce a guardare con ottimismo al futuro
considerando che quello attuale è considerato un periodo di stasi
produttiva.
Nonostante nove province su quindici tra quelle che hanno
registrato un incremento rilevante siano del Sud, la media del
Mezzogiorno è a dir poco preoccupante, con soli 13 mila 371 euro
pro capite rispetto ai 23 mila 716 euro di un connazionale del
Nord-Est o i 21 mila 631 del Centro-Italia. Quali strategie
adottare, dunque, per risalire la china? Il territorio italiano
presenta un’anomalia quasi unica: tra le prime forze economiche
mondiali pur non essendo scarsamente dotato di materie prime, ha
puntato ad un travolgente sviluppo del terziario. Una politica che
però non può andare troppo distante ma dovrà essere riveduta ed
inserita in un piano globale. Tornare ad investire nel
manifatturiero, garantendo al consumatore i servizi che oltre alla
progettazione ed alla distribuzione assicurerebbero anche
l’assistenza post-vendita, significherebbe garantire
l’auto-sussistenza all’intero distretto geografico di competenza.
La distinzione tra il Nord ricco ed il Sud che sopravvive alle sue
spalle troverebbe così notevoli margini di riavvicinamento. Una
sorta di federalismo produttivo in cui gli investimenti
servirebbero da traino alla richiesta dei paesi in via di
sviluppo. Fornire il prodotto completo, dalla progettazione
all’assistenza, significherebbe per l’azienda nazionale garantirsi
uno zoccolo su cui fondare la propria attività di base e nel
frattempo avere la possibilità di andare alla conquista dei nuovi
mercati “vergini”, come per esempio quelli all’interno dell’ex
blocco sovietico già alle prese con l’invasione dei tecnocrati con
gli occhi a mandorla. Il tempo a disposizione non è molto, ma
risollevare la testa in tempo potrebbe significare non dover
abbassare la schiena quando sarà troppo tardi.
5 dicembre 2003
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