Le banche italiane non trattengono gli investitori
di Angela Regina Punzi

A Lugano lo chiamano “il rimbalzo” ed è il rientro in Svizzera di quei capitali italiani, che dopo aver fatto capolino sulle nostre piazze, sono poi tornati indietro. Alcuni investitori, infatti, prima hanno approfittato dello scudo fiscale e, rei confessi, hanno fatto emergere i propri soldi depositati in Svizzera, salvo poi ripensarci e riesportarli a Lugano, questa volta legalmente. I pentiti dello scudo sono coloro che sono rimasti “delusi” dal servizio offerto dalle banche italiane e che proprio per questo hanno già prenotato il viaggio di ritorno verso la Svizzera. Secondo le stime bisbigliate negli ambienti finanziari ticinesi le cifre dei capitali che “ci hanno ripensato” dovrebbero avvicinarsi con buona approssimazione attorno al 10-15% delle somme effettivamente rimpatriate in Italia – si stima che i capitali scudati provenienti dalla Svizzera siano 31,1 miliardi di cui 19,3 rientrati e 11,8 regolarizzati.

Pur di ritrovare la professionalità svizzera questi investitori sono stati disposti a pagare molto: al costo del biglietto di ritorno si deve aggiungere quanto già versato allo Stato italiano per la penale, pari al 2,5% del capitale emerso, e per il regolare prelievo fiscale subito sui guadagni di capitale. Ma perché sopportare un costo così elevato per ritornare dal vecchio private banker di fiducia a Lugano dopo averlo abbandonato nonostante tanti anni di pur impeccabile gestione? Il modello svizzero si basa infatti sulla riservatezza, sull’esperienza nella gestione dei patrimoni sui mercati internazionali, su una consulenza ed una gamma di servizi offerti al cliente unica al mondo. Così, dopo aver goduto dei vantaggi offerti dalle banche elvetiche, e spenta l’iniziale euforia, la realtà italiana è apparsa poco soddisfacente. A confronto la gamma di prodotti offerti dai nostri connazionali è risultata scarsa e le modalità d’azione molto più lente. Inoltre, le banche private elvetiche già da tempo denunciano la mancanza di riservatezza del private banking italiano. “Qui in Svizzera se incontriamo un cliente per strada non lo salutiamo per evitare che si possa capire che è un nostro gestito: in Italia invece ci si vanta di avere un nome importante come cliente”.

I condoni che hanno permesso il rientro dei capitali esportati illegalmente all’estero sono stati un grande successo d’immagine per lo Stato italiano. Con le due iniziative fiscali si è assistito al proliferare di iniziative commerciali: dall’organizzazione di convegni al lancio di nuovi prodotti che consentivano il recupero del carico fiscale. Sono stati creati prodotti ad hoc, e tra questi la consulenza fiscale e gestionale sugli asset rientrati hanno rappresentato le proposte più interessanti. L’operazione ha consentito di aumentare la raccolta complessiva del sistema e di confrontarsi con le aspettative di una clientela molto esigente e multibancarizzata. Evidentemente però qualcosa non ha funzionato: il sistema è apparso ancora acerbo e alcune banche non sono riuscite a cogliere questa opportunità.

Fa eco la soddisfazione dei banchieri elvetici: una parte di quel 15% circa riemerso con i due scudi fiscali rimane in modi diversi collegato ai loro istituti. Se si sommano i capitali regolarizzati, cioè dichiarati ma lasciati in gestione in Svizzera, quelli rimpatriati ma affidati a strutture italiane delle banche elvetiche, e poi ancora i capitali rimpatriati ma “rimbalzati” in seguito verso le piazze svizzere, la quota di patrimoni trattenuti oltralpe è considerevole. In Italia ci sono tante piccole banche che lavorano bene, ma i grandi gruppi stanno ancora organizzandosi e non hanno maturato una vera e propria cultura nel private. Ci sono tanti gestori di patrimoni che presi singolarmente sono ottimi, ma la struttura bancaria nel suo complesso spesso non fa attenzione alle esigenze di chi vi si affida. Gli effetti di una manovra promettente del governo del paese sono così stati smorzati da un sistema bancario ancora carente per poterla sostenere.

19 novembre 2003

a.punzi@libero.it

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