La domanda riformista che viene dal paese
profondo
di Pierluigi Mennitti
Al dunque sono bastati due annunci di riforme – quella
istituzionale e quella delle pensioni – per mandare in stato
confusionale l’opposizione e toglierle quella saccente arma
polemica che da qualche tempo, non senza qualche ragione, è solita
contrapporre al centrodestra. Se quello che due anni fa nacque
come il governo del fare ingranasse la quarta per condurre a
termine le riforme promesse in campagna elettorale, potrebbe
uscire dall’impasse e presentarsi con rinnovato smalto di fronte
agli elettori. Lo stesso vituperato sondaggio-burla di Domenica In
non condanna Berlusconi in quanto tale, ma in quanto politico che
non realizzerebbe ciò che ha promesso. C’è di che meditare, al di
là dello spiacevole infortunio nel quale è caduta la tv di stato.
Anche perché la battaglia per la riforma delle pensioni è la più
delicata, coraggiosa e al tempo stesso necessaria tra le riforme
in cantiere. Perché lo squilibrio demografico italiano va di pari
passo con quello dei conti pubblici e dunque in Italia dobbiamo
agire per recuperare due fronti e non uno soltanto. Perché in
Europa tutti i paesi e tutti i governi, di qualsiasi colore
politico essi siano, stanno mettendo mano alla stessa riforma: la
competitività complessiva di uno Stato, l’efficienza del suo
welfare, la sostenibilità delle pensioni future dipenderanno da
quanto incisivo sarà il cambiamento proposto. Ma anche perché su
questo tema si toccano direttamente interessi e mentalità
consolidate e non è facile comunicare correttamente con i
cittadini elettori, far valere il bene generale rispetto a quello
particolare. Ovunque, in Europa, i sindacati hanno fatto muro,
hanno contrastato il cambiamento con scarsa lungimiranza. In
Francia sono scesi in piazza due milioni di lavoratori ma il
presidente del Consiglio Raffarin ha tenuto la barra diritta e ha
condotto in porto la riforma pensionistica, infliggendo al
sindacato d’Oltralpe una sconfitta epocale. Non basta portare
nelle piazze due milioni di persone se non si ha una proposta
alternativa – e ugualmente efficace – da proporre.
Lo stesso potrebbe accadere in Italia, dove all’annunciato
progetto governativo il sindacato, tornato unito dopo lunghe
divisioni, ha risposto con uno sciopero generale. Solitamente lo
sciopero degli scioperi è l’ultima spiaggia dopo trattative
estenuanti andate a vuoto. Questa volta è una specie di guerra
preventiva, comunque e a prescindere, perché come ha ribadito un
insolitamente irremovibile Pezzotta, le pensioni non si toccano,
non c’è motivo perché si tocchino. E invece tutte le stime che
circolano in Europa dicono l’esatto contrario. In questo numero di
Ideazione.com abbiamo voluto offrire al lettore un'ampia analisi
del dibattito in Italia e in Europa, rafforzandola con materiale
di approfondimento recuperato dai libri e dagli articoli che
Ideazione ha pubblicato nel corso di questi ultimi anni sulla
rivista bimestrale o sui Quaderni della Fondazione. Una riforma troppo importante per
essere lasciata solo all'interpretazione corporative del sindacato
italiano o a
quella demagogica della sinistra d’opposizione, mentre il futuro
candidato premier dell’Ulivo, da Bruxelles, vive con qualche
imbarazzo il rifiuto del progetto governativo da parte della sua
coalizione futura e passata.
Berlusconi deve andare avanti, come ha fatto Raffarin, come stanno
facendo gli altri leader europei, a partire dal socialdemocratico
Schröder. Sarà sulla capacità riformatrice complessiva del governo
che gli elettori misureranno il proprio consenso alle prossime
elezioni. Una battuta d’arresto, su un pilastro così importante
per la riforma del nostro stato assistenziale, potrebbe al
contrario risultare fatale. I sondaggi, quelli veri, quelli che
misurano il gradimento di fondo e non l’umore contingente di un
elettorato, vanno letti alla fine, un mese prima del voto. E
l’elettorato del Polo oggi lamenta una carenza di azione
innovativa da parte del governo. E’ un elettorato che non riempie
le piazze e trova scarsa rappresentatività sulla scena
mediatico-giornalistica: ma è capace di farsi sentire al momento
del voto, magari disertando le urne come è avvenuto nelle recenti
amministrative. E’ a questo mondo che Berlusconi deve delle
risposte. I sindacati, la sinistra, hanno orecchie da mercante e
non vogliono sentire.
10 ottobre 2003
|