Chi veramente vuole la riforma

Si chiama “coazione a ripetere”. La sinistra sembra non aver imparato nulla dalla lezione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quando il Paese perse l’occasione – difficilmente si ripresenterà a breve – per sperimentare una revisione della disciplina dei licenziamenti individuali ormai obsoleta e causa di un iniquo dualismo nel mercato del lavoro. In quell’occasione la sinistra si mise alla coda delle confederazioni sindacali prima, della sola Cgil poi, quando essa rifiutò di sottoscrivere, un anno fa, il patto per l’Italia. In seguito, l’area moderata della gauche (cui dovette associarsi – Bologna vale bene una messa – persino il candidato sindaco Sergio Cofferati) fu costretta a prendere le distanze dal referendum di Bertinotti e Rinaldini e ad accorgersi – nella zona Cesarini delle urne disertate – che l’Italia era matura per affrontare le nuove sfide del lavoro. Ora la sinistra si orienta – senza alcun ritegno – ad affiancare Cgil, Cisl e Uil nella difesa ad oltranza delle pensioni di anzianità. Ancora una volta la sinistra agisce in piena sintonia con un vecchio modello di rappresentanza sociale dal quale essa non riesce a riscattarsi, neppure per intercettare un modello diverso, più moderno e innovativo (in sostanza, quello venuto alla ribalta il 15 giugno scorso).

Il Governo – sempre che alle parole e alle indiscrezioni seguano i fatti – vorrebbe riordinare il regime dei trattamenti anticipati, sgombrando il campo dal singolare dibattito (incentivi sì, disincentivi no) che ha accompagnato la delega in materia previdenziale nel corso dei tanti mesi del suo stand by parlamentare. L’esecutivo, finalmente, pare orientato ad imboccare l’unica soluzione efficace: elevare con gradualità i requisiti anagrafici e contributivi necessari ad ottenere la pensione. Si tratta, in pratica, di un piano simile a quello suggerito da chi scrive nel recente Rapporto di Free Foundation: a) completare al 2006 l’andata a regime del percorso previsto dalla riforma Dini, ridisegnando inoltre le “fineste”; b) estendere pro rata il calcolo contributivo ai lavoratori ora esonerati; c) sottoporre al contributo di solidarietà (fino al momento in cui l’interessato non raggiunga l’età di vecchiaia) le prestazioni anticipate; d) elevare, a partire dal 2006, i requisiti d’età e di anzianità così da pervenire, gradualmente entro il 2014, a nuove regole per la quiescenza anticipata: 62 anni con 40 di versamenti oppure 42 anni di contribuzione a prescindere dall’età. Il limite dei 62 anni diventerebbe così la soglia inferiore del pensionamento flessibile (con relativa correzione attuariale) previsto a regime dalla legge n. 335/1995, mentre quella superiore slitterebbe a 67 anni. 

Si tratta di misure – queste o altre analoghe – perfettamente coerenti con le riforme in atto in Francia e in Germania e con l’indicazione fondamentale che viene dall’Unione europea: innalzare di 5 anni (da 58 a 63) l’età media effettiva di pensionamento. Non dimentichiamo che l’Italia ha la presidenza del semestre. Il Governo si è impegnato a portare più avanti l’iniziativa congiunta a livello europeo in materia previdenziale. Non si tratta di un marchingegno – un po’ spettacolare, un po’ furbesco – inventato da Berlusconi per menare il can per l’aia in Italia. Da tempo l’Unione si sta interrogando sulle grandi questioni del fenomeno dell’invecchiamento e dei suoi effetti critici sulla sostenibilità dei sistemi pensionistici, nel tentativo di rafforzare lo strumento del coordinamento aperto (ecco la “Maastricht delle pensioni” che tanto scalpore sollevò in Italia, mentre la sua definizione era in corso in Europa), applicato alle pensioni. Chiunque sia informato della situazione ed abbia un minimo di onestà intellettuale sa benissimo che – nonostante le revisioni importanti del decennio novanta – il sistema ha bisogno di notevoli migliorie. I sindacati – ancora una volta – sono decisi a difendere lo status quo e i loro insediamenti più anziani e garantiti. Anche se hanno torto, scioperare è un loro diritto. È dal 1995 che tutelano, oltre il necessario, i lavoratori più anziani e scaricano sulle future generazioni i costi del risanamento della previdenza.

Come è noto, la proposta – abortita a seguito degli scioperi – del primo Governo Berlusconi del 1994 avrebbe avuto un impatto più equilibrato ed equo, per le diverse classi d’età, di quello poi realizzato dal riordino Dini-Treu nel 1995. Il gruppo dirigente della Quercia e della Margherita, gli intellettuali d’area, gli economisti dell’Ulivo sanno benissimo che non c’è scampo, che è indispensabile un intervento sull’età pensionabile (anche perché in tutta Europa e in Italia essa si è ridotta proprio quando si allungava l’aspettativa di vita). Non è giusto e corretto, allora, mettersi alla coda – magari con la speranza di lucrare sul piano politico – di un movimento sostanzialmente conservatore (non insegna nulla l’esperienza dei socialisti francesi?) come quello che i sindacati si apprestano a scatenare. Se non sarà Berlusconi a compiere il “lavoro sporco”, toccherà domani ad un Governo di centro-sinistra. Prima o poi, però, le riforme andranno fatte. Sarebbe il caso di riflettere su alcuni importanti segnali venuti d’Oltralpe. Mentre alcuni sindacati francesi cercavano di bloccare la riforma Raffarin-Fillon paralizzando il Paese, lo scorso 15 giugno (in quel medesimo giorno, in Italia, erano disertate le urne referendarie), a Parigi, avveniva un “68” rovesciato o – se vogliamo italianizzare la metafora – una “marcia dei Quarantamila” sulle pensioni. Se la sinistra, da noi, vorrà suonare le sue sfiatate trombe, nella difesa disonesta dei “profittatori di regime” del sistema pensionistico, forse qualcun altro vorrà rispondere con un argentino suon di campane. Ci sarà pure, in Italia, una Maria Rossi – giovane come la francese Sabine Herold – disposta a chiamare alla lotta i propri coetanei in nome della libertà, contro coloro che sanno pensare soltanto ai propri diritti?

10 ottobre 2003

(tratto da "Riformare il welfare è possibile", di Renato Brunetta e Giuliano Cazzola, Ricerche della Fondazione Ideazione, Roma, 2003)

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