Un’area a ridotta tassazione per rilanciare il Sud
di Paolo Passaro

Le ultime rilevazioni fatte dall’Istat segnalano un trend negativo del sistema produttivo italiano e di quello meridionale, in particolare. Il prodotto interno lordo nel primo trimestre 2003 è risultato negativo per 0,1 % rispetto all’ultimo trimestre 2002, gli investimenti meno 5%, e le esportazioni meno 3%, sempre rispetto all’ultimo trimestre 2002. In Puglia, in particolare, le esportazioni sono risultate del 5,7 % in meno rispetto all’anno precedente ed anche gli occupati sono scesi dello 0,7 %. Un sostanziale regresso rispetto al 2002 che pure è stato un anno mediocre. La crescita del Mezzogiorno l’anno scorso è stata pari allo 0,8 %, in evidente diminuzione rispetto all’1,9% del 2001. L’incremento degli investimenti nel 2002 è stato pari ad appena l’1%, rispetto al 2,7% del 2001. I consumi delle famiglie meridionali sono calati dello 0,2 %, in misura maggiore rispetto al Centro-Nord. Dall’indagine congiunturale prodotta dall’Isae, pubblicata nei quaderni del ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento per le Politiche di Sviluppo, emergono ulteriori elementi di riflessione. Calo delle vendite all’estero, nel Meridione, pari al 6,3 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, al netto dei prodotti petroliferi, così diviso: forte diminuzione in Basilicata (-16,1 per cento), a causa del calo trasporto e prodotti agro alimentari; in Campania (-11,1 per cento), dove la diminuzione ha riguardato le esportazioni di prodotti metalmeccanici, chimici e fibre sintetiche; in Puglia (-5,7 per cento) dove la contrazione ha riguardato soprattutto i mezzi di trasporto e altri prodotti dell’industria manifatturiera e apparecchi meccanici. Meno accentuato il calo del Molise (-2,3 per cento), ma pur sempre evidente. 

Se consideriamo la variabile sociale relativa alle opinioni delle famiglie italiane sul quadro economico generale e, in particolare, le previsioni sulla situazione economica dell’Italia, vi sono alcuni modesti segnali di miglioramento della aspettative, mentre i giudizi sulla situazione personale degli intervistati e sulla situazione economica della famiglia mostrano un diffuso pessimismo. I saldi relativi al giudizio e alle previsioni sulla situazione economica della famiglia sono negativi soprattutto nel Centro e nel Mezzogiorno, mentre nel Nord si presentano stabili i giudizi; ma meno ottimistiche le previsioni. In tutte le ripartizioni migliorano le prospettive inerenti il mercato del lavoro mentre diminuisce la quota di quanti ritengono conveniente il risparmio. Altresì, nel Mezzogiorno e nel Nord Est aumentano coloro che ritengono conveniente l’acquisto di beni durevoli. A livello finanziario nel 2002 gli impieghi bancari sono cresciuti nel paese del 5,7 per cento, nel Centro Nord del 5,8 per cento e nel Mezzogiorno del 4,8 per cento. Nell’area meridionale ricade il 13,6 per cento del totale impieghi (140 miliardi di euro rispetto ad un totale di 1.026 miliardi). I depositi sono cresciuti in media del 6 per cento, con un risultato superiore per il Centro Nord (6,5 per cento) rispetto al Sud (4 per cento). Nel Mezzogiorno vengono raccolti dagli intermediari creditizi circa il 21 per cento del totale depositi (122 miliardi di euro su 583). Nell’ultimo quadriennio, nel Mezzogiorno l’incidenza degli impieghi sui depositi si è ridotta e si sta stabilizzando intorno al 115 per cento, a fronte di una tendenza inversa e di un valore più alto nel Centro Nord (192 per cento); mentre la media nel paese del rapporto impieghi su depositi è del 176 per cento. Le considerazioni che si possono trarre dalla lettura di questi dati sono molteplici e variegate. Se la situazione congiunturale è sotto gli occhi di tutti e tocca l’intera area dei paesi OCSE, pur in una prospettiva di miglioramento per effetto della ripresa degli USA, la realtà del Mezzogiorno d’Italia sconta una serie di limiti che sono di natura strutturale. 

Il sistema industriale pugliese, in particolare, è costituito per il 90 % da piccole e piccolissime imprese specializzate nei settori merceologici legati alla casa ed alla persona (intimo, scarpe, mobili imbottiti, cravatte, pentole, cucine, abbigliamento, ecc.). Tali settori soffrono la concorrenza sempre più agguerrita dei nuovi produttori mondiali di tali prodotti: Cina, oggi, e India (in un futuro ormai prossimo). Si avverte, in molti imprenditori pugliesi, la tentazione di spostare le produzioni a più alta intensità di mano d’opera nei paesi dell’Europa dell’Est (Bulgaria, Romania, Albania) dove il costo del personale è dieci volte più basso che in Italia. Si tratta, però, di una soluzione di basso profilo che tra qualche anno ci riporterebbe al punto di partenza in una situazione ancora più aggravata dal passare del tempo. A tutto ciò si associa una moneta forte (l’euro) che rende le nostre merci ancora meno competitive nei confronti di quelle provenienti dalla Cina; soprattutto nell’esportazione verso gli Usa, principale mercato di sbocco. E’ necessario uno sforzo congiunto di tutti gli attori del sistema economico. Il governo ha ribadito la centralità degli interventi nel Mezzogiorno, pur in presenza di risorse scarse per effetto dell’impossibilità di agire sui tassi di interesse o sull’emissione di moneta per svalutazioni competitive. Quello che sarebbe necessario è la programmazione di una riduzione permanente e strutturale delle imposte, premendo su Bruxelles per la creazione di un’area a ridotta tassazione coincidente con il Mezzogiorno. La leva fiscale è l’unico strumento di politica economica rimasto ai governanti. Al tempo stesso vanno fatti gli investimenti in infrastrutture che sono assolutamente indifferibili per rendere le regioni del Sud più competitive e più appetibili per investimenti esteri.

Un altro essenziale settore di intervento del governo è legato alla sicurezza contro i fenomeni di malavita organizzata. Infatti, uno degli elementi più preoccupanti dell’analisi numerica dell’ISPE è il basso indice generale di fiducia delle famiglie e delle imprese. E’ fondamentale far sì che la spirale depressivo - deflazionistica venga spazzata da una rinnovata fiducia e speranza legata ad aspettative di ripresa. Le Regioni, invece, devono assumere un ruolo di leadership del territorio soprattutto nell’ambito di una politica industriale che tenga conto delle caratteristiche e delle attitudini delle popolazioni. Vanno sfruttati tutti i finanziamenti europei dei fondi strutturali, sino al 2006, una delle ultime occasioni per ridurre i divari di produttività. D’altronde tra le maggiori difficoltà competitive affrontate dalle imprese vi è la ridotta produttività della mano d’opera il cui salario, allineato ai lavoratori del Centro Nord, non è coerente con i volumi di produzione. La produttività non si aumenta riducendo i salari o rendendo più precario il lavoro dipendente ma aumentando l’efficienza del sistema nel suo complesso, incrementando l’acquisto di macchinari moderni e aumentando il valore del “capitale umano”: soprattutto mediante la formazione. In tal senso la “Legge Biagi” va nella giusta direzione nel riorganizzare il mercato del lavoro. La formazione è un’essenziale sfida che le Regioni devono affrontare; ciò insieme agli incentivi per l’innovazione e la ricerca. In questo ci vorrebbe una collaborazione a tutto campo con le Università ed i centri di ricerca pubblici e privati. Gli imprenditori possono giocare un ruolo fondamentale nel creare una rete di reciproca collaborazione, tra loro e con le istituzioni, per una cooperazione trasversale che permetta di ottimizzare l’allocazione delle risorse. Per esempio credendo di più nei consorzi tra imprese, nella creazione di marchi, nel marketing, nei servizi a valore aggiunto. Se il sistema italiano e soprattutto meridionale è fatto di piccole imprese che sono individualmente deboli nei mercati internazionali una delle risposte è quella della cooperazione e della creazione di consorzi, per una maggiore efficacia della filiera produttiva, in larghezza e profondità, rispetto alle quote di mercato. 

Infine, un ruolo di grandissimo rilievo è riservato al sistema bancario la cui strategia può realmente condizionare le aspettative di sviluppo. Il ruolo che le banche vorranno assumere, pur nel rispetto delle loro prerogative di imprese, diviene fondamentale nel quadro della cooperazione tra i protagonisti dell’attività economica. Non serve una politica assistenziale del credito ma la partecipazione alla vita delle aziende clienti, sia dal punto di vista della consulenza che finanziaria. In tal senso l’accordo di Basilea 2, che propone alle banche un approccio basato sul merito delle aziende e sui progetti, rispetto alle garanzie patrimoniali, e la creazione di Fondazioni “ad hoc” e fondi chiusi per le aziende meridionali va nel giusto senso. Moltissimo resta da fare e il tempo è davvero scarso; non resta che avere fiducia nella classe dirigente attualmente al governo, i cui progetti di sviluppo abbiamo entusiasticamente abbracciato due anni fa.

26 settembre 2003

paolo.passaro@libero.it


stampa l'articolo