Europa in recessione, ora l’euro fa paura
di Mauro Berlin

L’inquietudine dell’Europa è riflessa nelle istantanee giunte in questi giorni da Stoccolma, un tempo isola felice nella tranquilla Scandinavia e oggi teatro del ferimento mortale a colpi di coltello della signora Anna Lindh, ministro degli Esteri ed esponente di primo piano del governo e del partito socialdemocratico. Un assassinio su cui la polizia sta indagando, pare con qualche successo in più rispetto ai tempi di Olof Palme, il premier svedese ucciso negli anni Ottanta. Eppure la verginità politica perduta della Svezia, così come quella perduta dell’Olanda orfana di Pim Fortuyn, testimonia di come nella compassata Europa nordica la società stia smarrendo alcune coordinate fondamentali. Tanto più che a Stoccolma gli elettori hanno bocciato l’adozione dell’euro, resistendo al prevedibile effetto emozione per la scomparsa di Anna Lindh che tanto si era spesa a favore della moneta unica. Un no pesante come un macigno che può essere considerato il primo giudizio elettorale sulla validità dell’euro a poco meno di due anni dalla sua adozione. Per nulla intimoriti dalla minaccia di Prodi di contare di meno nelle questioni europee (talvolta la diplomazia difetta anche al professore bolognese), gli svedesi hanno ritenuto più prudente per le sorti della loro economia non entrare nel magico mondo dell’euro.

Che tanto magico non appare più. Da Bruxelles Eurostat annuncia che l’economia dell’Unione Europea è bloccata e quella dei paesi della zona-euro addirittura in recessione. Il dato è stato appena annunciato: nel secondo trimestre del 2003 il Prodotto interno lordo dei paesi della zona-euro è calato dello 0,1 per cento, dopo che nel primo trimestre era rimasto fermo allo zero per cento. Se si prendono uno ad uno i paesi dell’euro si notano segni negativi che vanno dallo 0,1 di Belgio, Germania e Italia allo 0,3 della Francia fino allo 0,5 dell’Olanda. Le uniche note positive vengono dai paesi della fascia mediterranea (Spagna + 0,7, Grecia + 0,4, Portogallo + 0,1). L’assenza dell’Italia dai lievi progressi della fascia mediterranea e il suo pieno ingresso nell’area recessiva del centro Europa deriva dal fatto che il grosso della sua economia, concentrata nell’area padana, è legata agli interessi e alle vicende dell’economia continentale. Al di fuori della zona-euro la situazione è più simile a quella dell’Europa mediterranea: pur se modesti, segnali positivi giungono da Regno Unito e Svezia (+ 0,3).

Che attrattiva, dunque, poteva avere per i cittadini svedesi l’ingresso in un’area monetaria che sprofonda verso la recessione? E le cui riforme strutturali, tanto richieste per alleggerire l’economia e prepararla alla ripresa pur fragile che spira negli Stati Uniti, tardano ad arrivare? Stretti nelle griglie del patto di stabilità, alle prese con popolazioni che invecchiano e che chiedono più protezione e meno rischi, soffocati da meccanismi di spesa assistenziale ormai insostenibili, i paesi della zona-euro vivono in un mondo sempre meno appetibile per di più appesantito da una moneta che ha portato inflazione ben al di là delle cifre ufficiali fornite e ha ridotto le potenzialità delle esportazioni a causa della sua inutile forza sul dollaro. L’America torna a respirare e il Giappone inanella mese dopo mese incredibili performance, dimostrando come la recessione non sia affatto la regola nelle economie post-industriali di inizio secolo. I consumatori sono tornati sul piede di guerra un po’ in tutta la zona-euro, anche perché i rincari tradizionali della ripresa autunnale si sono sommati a quelli già subiti nel corso di quasi due anni di moneta unica. Le aziende si leccano le ferite della perdita di competitività e le più deboli tra di loro soccombono incapaci di investire in innovazione.

L’economia diventa dunque il banco di prova più urgente per l’Unione e per l’Italia che è presidente di turno. Nell’agenda di Berlusconi le riforme economiche sono tutte già scritte nero su bianco ma la capacità di tradurle in pratica appare più scarsa. Governi di destra e di sinistra si trovano di fronte alle stesse sfide e hanno a portata di mano soluzioni uniche e dolorose. Ma né gli uni né gli altri sembrano avere la capacità riformista necessaria a portarle avanti, pressate da opposizioni sindacali riluttanti e gruppi politici massimalisti. Così dunque quella che ancor oggi il presidente Prodi spaccia per un successo epocale, l’introduzione dell’euro, rischia di essere il macigno attorno al quale l’Unione europea sta stringendo la sua corda.

Aggiornato il 17 settembre 2003

mauberlin@hotmail.com
 

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