Il nuovo Mezzogiorno d’Europa
di Angela Regina Punzi

E ora chi glielo spiega? Chi dirà alla gente del Sud che cos’è questo effetto statistico che con l’allargamento dell’Unione Europea a 25 Stati membri potrebbe fargli perdere volgarmente, schiettamente: soldi. Le aree depresse occidentali, cioè loro, verranno considerate più ricche non perché lo siano effettivamente diventate ma perché saranno più vicine ad una media europea che si sarà abbassata in ragione dei nuovi ingressi. Il malessere rischia così di concentrarsi nelle aree deboli dei paesi forti che hanno dato vita all’allargamento.

L’Italia ha beneficiato - e ancora beneficia - dei Fondi Strutturali erogati dall’Unione Europea; la prospettiva che l’ampliamento possa modificare uno stato di cose apparentemente favorevole genera almeno qualche timore. Con gli attuali criteri di accesso ai Fondi Strutturali 2007-2013, l’entrata dei 10 nuovi Stati comporterebbe un calo del Pil pro-capite del 13% che nel caso dell’Italia farebbe uscire 2 regioni del Sud, Basilicata e Sardegna, dalla lista delle regioni cosiddette “Obiettivo 1”, quelle in ritardo di sviluppo. Nel 2007, con l’ingresso di Bulgaria e Romania, il calo del PIL pro capite sarà del 18%: fuori dalla lista e niente soldi anche per Puglia, Sicilia e Campania.

L’entusiasmo per l’arrivo dei nuovi paesi membri, tuttavia, non dovrebbe ostacolare lo sviluppo di una maggiore sensibilità verso i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il tasso di occupazione medio dei paesi candidati è solo di pochi punti percentuali inferiore al valore medio europeo, mentre è a volte superiore a quello meridionale. In particolare, il settore industriale negli ultimi anni ha assunto in tali paesi un peso crescente, e ciò si spiega anche grazie all’elevato flusso di Investimenti Diretti Esteri (IDE) che hanno interessato tale settore. La competitività dei paesi dell’Est è determinata dalla contemporanea presenza di un basso costo del lavoro e di elevati skill personali. Gli occupati nell’industria ricevono una retribuzione che è pari solo al 34% della media UE-15: si attraggono così IDE effettuati da imprese occidentali volte a delocalizzare fasi produttive dal minore valore aggiunto. Inoltre, se è vero che l’impero sovietico sacrificava i consumi privati, certamente non risparmiava nell’educazione personale. La preoccupazione è che i paesi aderenti possano spiazzare investimenti verso il Mezzogiorno: la risposta meridionale non potrà certo consistere in una mera competizione al ribasso sul costo dei fattori, ma le possibilità di sviluppo di quest’area restano legate alla possibilità, ed alla effettiva capacità, di attrarre produzioni caratterizzate da contenuti tecnologici maggiori e ad investimenti in educazione.

La rottura degli equilibri politici internazionali, le innovazioni tecnologiche, i processi di globalizzazione ed internazzionalizzazione sono fattori che hanno spinto l’Unione Europea ad allargare progressivamente i propri confini, riunendo un continente artificialmente diviso dalla storia. In questo processo l’economia è stata in qualche modo il battistrada che esplora la frontiera possibile. I rapporti commerciali con i paesi dell’Est sono già attivi da anni e gli imprenditori italiani guardano oggi con ottimismo ad Oriente, ed in particolare quelli del Mezzogiorno, che più di altri attendono nuove opportunità di sviluppo su questi mercati. Se l’Unione Europea non finanzia più i vecchi poveri (o, se guardiamo al bicchiere mezzo pieno, i nuovi ricchi) l’unica possibilità per recuperare opportunità economiche e rilanciare l’economia meridionale sarebbe quella di augurarsi un nuovo Piano Marshall.

Meglio essere considerati poveri, e per questo coccolati, o ricchi ma senza premio di consolazione? L’apparente dilemma non si pone se la fiera dell’Est viene vista come nuova opportunità e non come minaccia. Vivere delle proprie capacità riserva soddisfazioni ma qualcuno potrebbe pensare che farsi mantenere dagli altri costa di meno. Recuperare i facili finanziamenti europei sarà così più rischioso, impegnativo, ma molto più allettante.

6 giugno 2003

a.punzi@libero.it

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