Banche e Mezzogiorno. Il credito che non c'è
di Paolo Passaro

Il rapporto tra le banche e le imprese del Mezzogiorno è stato un argomento per decenni al centro di ampi dibattiti. A partire dal 1993-94, invece, è subentrato un periodo di oblio nel quale si sono realizzate clamorose concentrazioni tra istituti, al termine delle quali il sistema bancario del Sud d’Italia si è estinto. Oggi, si torna a parlare del ruolo delle istituzioni finanziarie per favorire la crescita del Mezzogiorno. Emergono due scuole di pensiero: la prima fa perno sulla condivisibile asserzione che le banche sono imprese. Ergo, non possono erogare prestiti che non siano remunerativi e si debbono costantemente preoccupare del loro conto economico. Ne discende che le concentrazioni bancarie sono una panacea, in quanto hanno reso le banche meridionali più efficienti ed in grado di affrontare le attuali sfide della competizione. La seconda scuola di pensiero mette in evidenza che i tassi debitori praticati al Sud sono superiori di 3 punti, mediamente, rispetto al Centro-Nord; mentre i tassi creditori sono inferiori di 1 punto e mezzo. 

Insomma, se si tratta di prestare, le banche spingono sul profitto; se si tratta di remunerare denaro altrui, nel Sud, sono molto parche. Tali dati sono stati riportati recentemente da Banca d’Italia. La difesa dell’ABI è che i tassi al Sud sono più alti in funzione del maggior rischio. Anzi, uno studioso, Fabio Panetta, consulente del Servizio Studi della Banca d’Italia, dopo una dotta disamina si dice convinto che, se supponessimo di confrontare due campioni di imprese con le stesse caratteristiche al Nord ed al Sud, la differenza di tasso è “solo” di 1 punto percentuale. Tale differenza è da attribuire al solito grado di rischio (maggiore nel Sud). Il problema vero è che le aziende del Sud non stanno soffrendo per i tassi; le piccole e medie aziende sono schiacciate da una morsa creditizia. Ovvero, anche ipotizzando (come fa Panetta) che non sia vero che le banche del Nord fanno “raccolta” al Sud ed “impieghi” al Nord, sta di fatto che gli Istituti di credito non concedono affidamenti aggiuntivi alle imprese. 

Oggi, l’attuale congiuntura negativa determina una situazione di scarsa liquidità. Le aziende tentano di alleviare le tensioni finanziarie determinate dal calo delle commesse, spostando i pagamenti in avanti. Sulla catena del valore da cliente a fornitore ciò si ripercuote, quasi fosse il gioco del domino, scaricandosi sulle banche. Se le banche non reggono alla richiesta di erogazioni (anche temporanee) per aumentare la liquidità reale, laddove vi è una falsa liquidità di sistema ottenuta mediante titoli di pagamento post-datati, le imprese piccole e medie chiudono. Di fatto le banche hanno contingentato il credito al Sud, valutando che vi sia alto rischio. Ma senza credito non scorre la linfa vitale in grado di sostenere lo sviluppo e la crescita. Quale potrebbe essere, quindi, la soluzione che permetta alle aziende piccole e medie del Mezzogiorno di ottenere credito, a richiesta, senza per questo mettere in pericolo la stabilità dei conti economici delle banche?

E' arrivato il momento di mettere a fattor comune esperienze e capitali. Tra gli interventi si potrebbe pensare alla costituzione di consorzi fidi (particolarmente incentivati, anche da un punto di vista fiscale) per categorie di aziende o distretti; al limite da rendere obbligatori nel Mezzogiorno; aumentare la garanzia dei consorzi fidi facendo assumere allo Stato, mediante strumenti tipo L.662/96, (gestita dal Mediocredito Centrale), quota parte del rischio. E ancora sarebbe necessario incentivare le banche nella sottoscrizione di prestiti a carattere obbligazionario (per le imprese con forma di società di capitali), garantiti da appositi fondi; imporre alle Fondazioni bancarie (il cui patrimonio ammonta a 36 miliardi di euro) di entrare nel capitale dei fondi di garanzia o di controgarantire i prestiti obbligazionari di cui sopra; rendere più conveniente il “venture capital”. E ancora, imporre che le banche si consorzino, a loro volta, per creare delle strutture “ad hoc” votate esclusivamente al “venture capital”. Si potrebbe pensare a fondi chiusi partecipati obbligatoriamente anche dalle Fondazioni bancarie e dallo Stato (in minima parte).

Tutto ciò dovrebbe servire a ridurre drasticamente le asimmetrie informative tra aziende del Sud e banche. Inoltre, attraverso questi strumenti si dovrebbe perseguire l’obiettivo di aprire il capitale delle piccole e medie imprese ai risparmiatori del Sud, mediante i fondi chiusi, tutelando un immenso patrimonio di tradizione e conoscenza messo costantemente in pericolo da una politica del credito asfittica e talvolta quasi persecutoria. 

9 maggio 2003

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