Un’altra idea del Sud
di Domenico Mennitti

C’è un interessante ripresa del dibattito sul Mezzogiorno e proprio su queste pagine sono stati ospitati vari interventi. Vorrei cogliere l’occasione per segnalare il pericolo che tradizionali interpreti del meridionalismo confondano l’esaurimento del loro ruolo con la fine di una vertenza che richiede ancora il massimo impegno. C’è sempre qualcuno che ha una così alta considerazione di sé stesso da ipotizzare che, quando uscirà di scena, non ci sarà più storia. Penso che questa del nostro Mezzogiorno, come quella dell’intera umanità, continuerà a scorrere alternando ovviamente i protagonisti.

Non disegnerò mappe per “segnare il territorio” come fosse una riserva privata per pochi eletti. Su questo giornale è apparso un rigoroso elenco dei blasonati ai quali è consentito sedere al tavolo del dibattito e il piatto forte è stato quello delle esclusioni. Mi è sembrato, più che un atto di arroganza, un atteggiamento di difesa, di ripiegamento in una ridotta disperata. Da qui all’idea di “abolire il Mezzogiorno” il filo conduttore è l’esclusività della competenza. Del Sud o discutono “loro” o non se ne parla proprio: l’argomento è noioso, non interessa più nessuno. Cancelliamolo e non se ne parli più. L’impressione è che lo schieramento che per anni ha tenuto alta la bandiera del Sud caso nazionale si ritrovi spiazzato, non abbia proposte da formulare, per giunta si senta per la prima volta marginale rispetto all’aggregazione politica vincente e perciò abbia deciso di “ritirare la squadra”. Avverte la spiacevole sensazione di brancolare nel buio: parte col chiedersi a che punto siamo della notte e chiude con la famosa citazione di Edoardo sulla nottata che comunque passerà. Messaggio suggestivo, espressione però di rinuncia e di rassegnazione.

Reazioni emotive così depresse si spiegano solo con la mancanza di una moderna strategia politica. L’ultima esibizione della rinomata compagnia avvenne in un teatro di Catania, nell’anno 1998, dove andarono smarrite le 100 idee della “nuova programmazione” disegnata da Ciampi, allora ministro dell’Economia. Non si sa dove siano finite le idee ma è ben visibile il capolavoro lasciato sul terreno: si chiama Sviluppo Italia, una struttura che ospita poco meno di mille tecnici in un accogliente palazzotto di via Boncompagni a Roma, della quale sono note le zuffe di potere, non ancora le strategie di sostegno all’economia.

C’è però un’altra idea del Mezzogiorno che nell’ottobre scorso abbiamo illustrato a Bari, dove in verità non ci siamo sentiti né soli né inascoltati. La prima differenza che dichiariamo è di essere attratti dalla luce del sole, rivendichiamo cioè un atteggiamento se non di ottimismo, certamente di fiducia. E’ vero che non ci sono ragioni per essere euforici, però il Mezzogiorno nel rapporto con il Centro-Nord da tre anni sta guadagnando punti: sono stati pubblicati i dati moderatamente positivi degli anni 2000 e 2001 e quelli che circolano sull’anno scorso indicano che il Sud ha registrato una crescita quattro volte superiore a quella del Centro-Nord. Anticipo due facili obiezioni: l’economia meridionale cresce quando quella complessiva nazionale decresce; si tratta comunque di numeri modesti, perché l’economia dell’altra area del paese è sostanzialmente ferma. Lo avevo premesso che non c’è ragione di euforia, però siamo in presenza di un fenomeno sul quale vale riflettere, anche perché l’Italia è l’unica nazione europea che nell’ultimo decennio ha fatto registrare un riequilibrio territoriale interno. Si possono cogliere anche indicazioni valide sul fronte interno: la prima è che la questione meridionale persiste, la seconda è che essa si è molto diversificata al suo interno e perciò non può essere più affrontata con un’azione centrale uguale per tutto il territorio.

Infine si pone il quesito della forza di rappresentanza politica del Sud, tutto da risolvere nell’ambito di un quadro istituzionale obiettivamente squilibrato verso il Nord. Il processo di integrazione europea va interpretato come un passaggio che apre insidiosi fronti di concorrenza per la distribuzione degli incentivi, ma offre anche nuove occasioni di sviluppo. Dopo 50 anni il Sud dell’Italia ha interlocutori geopolitici, con i quali può sviluppare collaborazioni commerciali, industriali, di utilizzazione di manodopera, ma anche di esperienze amministrative.

Per dedicare una riflessione alla Puglia è incomprensibile l’ostilità con cui molti politici e altrettanti intellettuali si pongono rispetto alla poderosa iniziativa della Regione che, in due anni, ha trasformato alcuni sistemi fondamentali per l’economia. Basta leggere i titoli dei giornali per rilevare il ritmo del cambiamento in atto in molti comparti: dalla formazione professionale ai trasporti, dalla sanità all’approvvigionamento idrico, è cambiato il quadro della disponibilità e dell’efficienza delle infrastrutture della Puglia, attrezzate nell’ottica di metterla in condizione di affrontare le nuove sfide. E’ legittimo dissentire da Fitto, forse sarebbe anche opportuno contrapporgli diverse strategie, ma è difficile apprezzare l’atteggiamento di chi chiude gli occhi per sostenere che siamo al buio. Insomma se c’è chi intende rifugiarsi in un sogno intellettuale che non ha alcun rapporto con l’amministrazione e la politica, faccia pure. Però deve esser chiaro che c’è un altro Mezzogiorno e che si profila la presenza di un’altra classe politica e intellettuale che vuole restare sul campo e fare il proprio dovere.

28 marzo 2003

(dal Corriere del Mezzogiorno del 20 marzo 2003)

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