Cattivi pensieri. Idrogeno, il futuro incerto
di Vittorio Mathieu

Di far marciare le automobili ad acqua, cioè ad idrogeno, sentivo parlare già prima della guerra. Ma, mi si diceva, l’energia necessaria per separare l’idrogeno dall’ossigeno è maggiore di quella che si ottiene ricongiungendoli. Oggi il problema ritorna per tutt’altre ragioni. Gli idrocarburi disponibili sono sempre più abbondanti e sono tutt’ora la fonte di energia più economica. Ma, nella quantità necessaria, sono detenuti da un numero ristretto di Stati, per lo più islamici. Un cartello si forma facilmente, non tanto per strozzare economicamente gli altri (vendere è non meno necessario che comprare), quanto per condizionarli politicamente. Quanto meno un fornitore è democratico, tanto più può disporre delle royalties senza controllo: basta quindi una minima percentuale in “tangenti” per avere a disposizione i governanti di Stati importatori. Costoro, a loro volta, non hanno interesse a promuovere fonti alternative, perché su queste ottenere tangenti sarebbe più difficile e pericoloso.

Mi guardo dall’insinuare sospetti, ma è innegabile che la prima repubblica italiana seguisse una politica filo-araba, documentata da diecine di episodi. Il più rilevante fu l’accantonamento del nucleare, giustificato con ragioni di sicurezza. Esso ci ha costretti ad acquistare egualmente energia da centrali nucleari ai nostri confini, con danno economico a parità di rischio.
Dopo l’11 settembre il discorso, tuttavia, è cambiato. Per quanto le centrali siano controllate, terroristi kamikaze potrebbero dar luogo a un evento improbabile ma senza dubbio catastrofico. Anzi, non si può escludere che il movente reale dell’11 settembre sia stato appunto suscitare questo timore per distogliere da fonti di energia che fanno concorrenza al petrolio.

Il discorso sull’idrogeno, di conseguenza, riprende quota. Il maggior costo è compensato da due vantaggi: diminuire l’inquinamento e sfuggire al ricatto di un quasi-monopolio. L’inquinamento diminuirebbe anche continuando a usare come fonte primaria gli idrocarburi, perché il consumo concentrato in poche centrali sarebbe minore di quello provocato da milioni di veicoli. Per sfuggire però al ricatto petrolifero sarebbe necessario egualmente pensare a fonti alternative. Il caso dell’Islanda è esemplare, ma non generalizzabile: poca popolazione, poco consumo, quantità relativamente enormi di energia idroelettrica o geotermica. Ma pensiamo, per esempio, alla Cina: impossibile non rabbrividire. Anche impianti bonsai per la Cina sarebbero giganteschi per noi. 

La fantasia dovrebbe perciò mettersi subito al lavoro. Nel mare, correnti e moto ondoso disperdono quantità di energia enormi, ma gli impianti necessari per concentrarla e trasportarla sollevano problemi immani. Per di più il Mediterraneo risulterebbe ulteriormente svantaggiato rispetto al Pacifico con le sue onde lunghe. Pensarci fin d’ora è inevitabile, se vogliamo, non solo sopravvivere bensì vivere in buona armonia. La ricchezza vera è inevitabilmente un consumo di energia, ma senza sprechi e senza monopoli.

28 marzo 2003

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