Banche & Assicurazioni. La punta dell’iceberg finanziario
di Massimo Lo Cicero

La struttura del sistema finanziario italiano ha subito una trasformazione molto radicale negli ultimi quindici anni: tanto più traumatica quando si riflette sul fatto che, in pratica, dalla legge del 1936 quel sistema era immobile. Giuliano Amato, nel suo linguaggio immaginifico, lo aveva definito una foresta pietrificata. La foresta torna alla vita con la legge Carli-Amato che avvia la trasformazione delle banche in imprese. Facendo il primo timido passo con la separazione tra gli enti pubblici e le aziende di credito. Il trauma degli anni Trenta aveva spinto il legislatore in direzione della stabilità piuttosto che verso la competizione. Il credito a breve era stato separato dal credito a medio termine ed il secondo era stato affidato agli “Enti Beneduce”. Uno di questi enti, l’IRI, aveva salvato le grandi banche dal fallimento e così facendo aveva salvato dal dissesto la banca centrale. 

L’IRI rilevò le azioni delle società - che erano nel portafoglio delle banche - ma, così facendo, rilevò anche la proprietà delle banche, che si possedevano reciprocamente per difendersi da scalate ostili: Comit, Credito Italiano e Banca di Roma. Tutto questo spiega perché la nuova legge bancaria, emanata nel 1936, azzerò anche la eventualità che in Italia potessero agire ancora banche d’affari: banche, cioè, che operassero contemporaneamente sul mercato del credito e sui mercati mobiliari. I grandi banchieri tedeschi, che avevano fondato la Comit, commentarono queste scelte affermando che la Comit era ormai una Cassa di Risparmio. Di eventi dal 1936 od oggi ne sono accaduti molti: tutti concentrati negli ultimi anni. Quelli che hanno consentito, dopo la legge Carli-Amato, che la foresta pietrificata tornasse a vivere. Ad esempio, una grande cassa di risparmio, la Cariplo, una banca giudicata fallita e poi risanata, l’Ambroveneto, e la Comit si sono fuse in un’unica grande banca. Il San Paolo si è fuso con l’IMI, il Banco di Napoli e molte banche minori del centro Italia. Ma, nonostante queste fusioni le prime tre banche italiane non entrano nella lista delle prime venticinque banche europee.

Mediobanca, infine, era nata negli anni Cinquanta ed era la figlia prediletta della Comit ma anche una figlia che si era messa in proprio, sotto la guida di Enrico Cuccia. Questa figlia intraprendente ha attraversato oltre cinquanta anni di vita nazionale, ha superato la stagione dell’espansione dell’industria di Stato e quella, successiva, della liquidazione dell’industria di Stato e delle privatizzazioni. E’ diventata un centauro: è una banca che promuove affari e realizza grandi operazioni di fusione e di acquisizione, una merchant bank. Ma è anche un fondo chiuso che controlla grandi imprese attraverso il possesso di quote significative del capitale e patti di sindacato con altri azionisti rilevanti. E’ controllata, a sua volta, da alcune banche ed imprese italiane ma è anche quotata in Borsa. Questo centauro è rimasto uguale a se stesso ma, negli ultimi dieci anni, è cambiata la natura dei suoi azionisti. Fino a tutti gli anni Ottanta le grandi banche azioniste di Mediobanca non potevano esercitare l’attività di merchant bank. Lo vietava la legge bancaria. Ora possono farlo ma la società che controllano, Mediobanca, le spiazza spesso sulle operazioni più interessanti e lucrose. Mentre è capitato che quando quelle banche azioniste si siano cimentate con il merchant banking abbiano fatto affari rivelatisi poco interessanti. 

In alternativa si sono spesso trovati di fronte al problema di convertire in azioni crediti difficilmente esigibili. Un modo singolare per essere presenti sul mercato mobiliare. Questa confusa sovrapposizione di ruoli potrebbe ora trovare una radicale soluzione. Alcune delle banche azioniste di Mediobanca tentano di scalare la impresa più prestigiosa che Mediobanca controlla: le Assicurazioni Generali. Questo appare strano per due motivi. Perché i proprietari di Mediobanca vogliono comprare una compagnia di cui è azionista la banca d’affari di cui esse sono azioniste? Perché le banche, che raccolgono depositi a brevi, hanno cioè passività volatili, vogliono impiegare i fondi così raccolti investendo in una compagnia di assicurazione? Sarebbe più logico che le assicurazioni che hanno passività più stabili comprino le banche e non il contrario. Le interpretazioni di questo trambusto sono molte: dalle guerre di potere tra i nuovi condottieri di ventura, i grandi managers aziendali, allo scontro tra un’anima di sinistra - amica di Prodi - ed una di destra - amica di Berlusconi? – dentro la comunità degli affari. Ed infine, perché le banche che sono già azioniste di Mediobanca non comprano Mediobanca definitivamente invece di comprare le sue società partecipate? Ai corsi di Borsa costerebbe anche meno. Non è facile capire cosa stia accadendo anche perché non sempre le azioni sono seguite o precedute da dichiarazioni esplicite di intenti. La verità, come sempre, sarà più chiara quando i giochi saranno fatti ma, allora, la soluzione trovata sarà anche abbastanza irreversibile, come sempre.

14 marzo 2003

maloci@tin.it

 

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