Fondazioni e credito: quella montagna da scalare per il Sud
di Andrea Gumina

Sono due gli aspetti più significativi del dibattito sul Mezzogiorno e, in generale, sullo sviluppo del nostro paese: il funzionamento del sistema creditizio e a quello delle fondazioni di origini bancaria. Due temi, questi, in qualche modo intrecciati fra di loro, che rispondono all’esigenza di sviluppare un canale di finanziamento non pubblico della crescita territoriale. Nonostante finalità e obiettivi specifici siano evidentemente diversi – le aziende di credito sono per sé enti profit, le fondazioni che in qualche modo ne sono derivate organismi no-profit – lo scopo ultimo di entrambe le istituzioni dovrebbe essere garantire e agevolare lo sviluppo del territorio all’interno del quale esse operano: le une, attraverso un’opera di intermediazione finanziaria (la canalizzazione del risparmio verso “n” opportunità di investimento), le altre attraverso la valorizzazione in chiave territoriale dei frutti del proprio patrimonio.

Lo scenario di fronte al quale ci troviamo, in realtà, è tutt’altro. Da più di un decennio, il sistema creditizio italiano ha immolato sull’altare di una (supposta) maggiore efficienza, il proprio ruolo di sviluppo del territorio: fusioni e acquisizioni – soprattutto nei confronti delle aziende di credito meridionali – sono così avvenute non nell’ottica di coniugare dei principi di più corretta gestione operativa con il mantenimento di una vocazione “territoriale” del sistema creditizio, quanto piuttosto con l’idea di realizzare delle aggregazioni quantitativamente in linea con le dimensioni medie europee. L’incompiutezza del disegno (vale a dire l’impossibilità di trasferire “semplicemente” nozioni di buon governo, ammesso che ve ne fossero, da Nord a Sud, senza il convincimento di dover interagire con le dinamiche e le peculiarità del territorio), si è poi tradotta in un sistema meridionale non più in mano al Mezzogiorno, comunque senza una guida efficace, e in ogni caso non più in grado di gareggiare ad armi pari con i competitor europei.

Dall’altra parte, le Fondazioni. Passate nominalmente ad essere non più proprietarie delle banche, e divenuti enti no-profit protesi alla valorizzazione del “terzo settore” nelle loro aree di incidenza, le fondazioni bancarie hanno dimostrato quantomeno l’esistenza di una doppia velocità: per quanto attive ed incisive possano essere state al Nord, tanto meno in grado di promuovere l’evoluzione del no-profit come ulteriore canale di sviluppo dell’economia esse sono state in parte al Centro e decisamente al Sud. Questo, nonostante esse avessero trovato storicamente in quest’area del paese un terreno fertile: Banco di Sicilia, Banco di Napoli, l’ex Cassa di Risparmio per le Province Siciliane V.E., le numerose Banche di Credito Cooperativo trovano comunque nella promozione di uno sviluppo anche “socialmente” distribuito una loro ragion d’essere.

E’ in questi due ambiti che sorge l’esigenza di un profondo cambio di rotta. Lo sviluppo del territorio ha bisogno, più ancora che di interventi pubblici, di bravi intermediari finanziari – che sappiano valutare la progettualità degli investimenti reali e promuoverne la realizzazione – e di intelligenti “mecenati”, capaci di investire nell’economia sociale, vedendo in essa non un modo per elargire prebende, quanto per valorizzare una crescente rete di rapporti che non possono essere adeguatamente coperti solo dal mercato. Un approccio corretto, in questo senso, dovrebbe coinvolgere in uno stesso progetto Governo, sistema del credito e mondo delle fondazioni, in un’ottica di programmazione e di concertazione degli interventi territoriali, per garantire la crescita dei settori strategici regione per regione.

Nella co-gestione di finanziamenti pubblici, privati e no-profit, può trovare un senso promuovere una logica “federalista. E ancora, in questo senso, il termine federalismo verrà qualificato come “solidale” e promovendo un riequilibrio del flusso di risparmi rispetto a quello degli investimenti, al momento fortemente sbilanciato da Sud verso Nord, agevolando, nell’ambito di questi ultimi, soprattutto quelli “reali” ed in “aree svantaggiate” (attraverso il concorso dei residui fondi strutturali, e con la promozione effettiva di un terzo settore “funzionale”, cioè di supporto all’efficienza del Mercato tout-court). Uscire dall’impasse in cui in un modo o nell’altro vive il nostro sistema di finanziamento è quindi il primo degli obiettivi che dovranno porsi governo centrale e autonomie locali, se effettivamente desiderosi di promuovere una reale emancipazione del territorio: l’affaire fondazioni appare essere il primo vero banco di prova della buona volontà delle parti.

28 febbraio 2003

a.gumina@libero.it

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