Enron. La confusione linguistica danneggia i mercati
di Massimo Lo Cicero

La storia di Enron viene raccontata come un caso plateale di fallimento dei mercati finanziari, il vero e proprio caso emblematico del carattere speculativo, parassitario ed opportunista della finanza: la “sorella cattiva” rispetto alla “buona cenerentola” rappresentata dall’economia industriale. Questa vulgata, che rimbalza dalle colonne della carta stampata alle televisioni, per allargarsi sui siti web e tornare alla carta stampata, non spiega ma confonde le idee che dominano il senso comune e rende un cattivo servizio, in definitiva, ai consumatori ed ai risparmiatori: perché trasforma un drammatico errore e le sue conseguenze in una paura immotivata e oscura della notte, quando tutte le vacche sono nere. Se il mercato finanziario è il regno delle forze del male diventa inutile cercare soluzioni che possano evitare il ripetersi di situazioni drammatiche di crisi, durante le quali migliaia di risparmiatori perdono il patrimonio e vedono compromesso il proprio futuro personale.

Il caso Enron non è la prova del fallimento del mercato finanziario ma del fallimento del mercato delle risorse intellettuali: i gatekeepers, dicono gli inglesi. E si dovrebbe tradurre come i “guardiani dei confini”: avvocati, analisti, revisori dei conti, consulenti d’azienda, managers. Tutte persone la cui abilità tecnica è condizione necessaria per il funzionamento di sistemi ed organizzazioni complesse - come le banche e le imprese - mentre quelle medesime organizzazioni sono necessarie per il funzionamento dei mercati, nell’interesse dei consumatori. Lo sviluppo della conoscenza ripropone questo problema in ogni campo della vita civile. La specializzazione delle competenze individuali produce linguaggi gergali che definiscono circoli e gruppi ristretti: l’insieme di coloro che dominano lo slang necessario per descrivere quello che avviene sul confine, quando la conoscenza diffusa non domina il problema mentre quella specialistica consente un margine di manovra ai detentori di questo vero e proprio monopolio del sapere. Un margine di manovra che non garantisce la potenza assoluta – la capacità di dominare il futuro – ma può offrire spazi per saltare sul treno in corsa, ovvero scendere dal treno in corsa, prima degli altri: di quelli che non padroneggiano questa capacità di leggere gli indizi estremi.

Grazie al monopolio della conoscenza su finanza ed economia i gatekeepers possono mettere quella forza al servizio del mercato – generando un’espansione del benessere generale grazie all’espansione del valore delle risorse disponibili – o possono usare quel medesimo potere per estrarre una rendita personale dalla dinamica degli eventi, catturando, per il proprio tornaconto personale, una parte del valore prodotto e sacrificando l’obiettivo del bene comune. Non si tratta di una caratteristica dei mercati ma solo della combinazione tra il potere della conoscenza ed il latente opportunismo della natura umana. Il medesimo problema ha condotto all’arricchimento dei gruppi dirigenti nei paesi socialisti o all’attribuzione degli aiuti internazionali ai paesi in via di sviluppo con un elevato tasso di corruzione. Non è una banale questione di gnomi finanziari maligni ed operose formiche imprenditoriali ed operaie. 

Paradosso nel paradosso, infine, è scoprire che nella dinamica economica di Enron, durante gli ultimi anni precedenti la crisi, nei bilanci era scritto che la società perdeva nella gestione industriale e guadagnava nel trading sui derivati finanziari: Enron distruggeva ricchezza nella produzione e ne creava con la propria attività finanziaria. Alla fine funzionava come un hedge fund piuttosto che come una compagnia per la distribuzione di risorse energetiche. Ma questi ricavi finanziari erano indicati come ricavi non industriali, oscurando la natura del problema ed allargando le dimensioni dell’utile finale che, tuttavia, non era affatto un indizio di buona gestione industriale. La deposizione di Frank Partnoy, grande avvocato e professore nell’Università di San Diego, prova questi risultati di fronte ai componenti del Senato degli Stati Uniti. Un brillante saggio di John Coffee jr. definisce ed elenca i fallimenti del mercato delle risorse intellettuali nel mondo dei gatekeepers. C’è un problema di retorica, insomma, di efficacia del linguaggio, che si pone alla radice del funzionamento dei mercati: del resto lo insegna la migliore cultura liberale che la premessa materiale e logica dello scambio è la condivisone del linguaggio. Se non capisco le ragioni ed i comportamenti della controparte lo scambio non è la soluzione del mio problema ma può essere l’origine di un problema più grande.

Per molti secoli la concentrazione del potere si è fondata sul monopolio del linguaggio e della conoscenza ed ha teorizzato la necessità di interdire il popolo dalla piena comprensione della realtà. Ma la civilizzazione e lo sviluppo economico sono proprio il risultato della progressiva erosione di questo monopolio: diffondere la conoscenza e le nuove tecniche significa allargare il numero di quelli che possono mettere il proprio talento e la propria intelligenza al servizio della sfida contro le forze oscure del tempo e dell’ignoranza. Ed, in definitiva, significa, moltiplicare le capacità dell’umanità di espandere la propria forza creativa ed il proprio benessere. 

Nel quindicesimo secolo la diffusione pubblica delle tecniche contabili della partita doppia - già note all’alba del primo millennio – si accompagnò all’esplosione rinascimentale nelle arti e nelle scienze e generò effetti moltiplicativi sulla produzione materiale della ricchezza, insieme all’espansione delle tecnologie della finanza. Invocare oggi l’inasprimento delle regole e gridare “dalli all’untore” invece di spiegare il funzionamento dei mercati finanziari per aumentare la responsabile capacità di scelta dei singoli individui non è un buon servizio per la causa del progresso. Una volta inasprite le regole e rafforzati i guardiani statali del mercato quis custodiet custodes? 

La responsabilità individuale resta la base oggettiva del buon funzionamento dei mercati ma essa si nutre di conoscenza. E la conoscenza si diffonde solo se il linguaggio diventa sempre più universale e comprensibile: le parole sono segni che possono diventare un codice per iniziati. Quando questo avviene il potere della conoscenza può alimentare collusioni tra coloro che pre-vedono gli eventi. Si tratta solo di un rischio che aumenta il costo che bisogna sopportare per ottenere i vantaggi dell’espansione della conoscenza. Ma non si combatte quel rischio diffondendo interpretazioni rassicuranti ed insieme fuorvianti. Quel rischio si può, invece, gestire e ridurre aumentando la capacità di leggere gli arcani della finanza e dell’economia ed aumentando la competizione e la trasparenza sul mercato intellettuale oltre che sui mercati delle merci o sui mercati finanziari.

31 gennaio 2003

maloci@tin.it

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