Il futuro di Torino senza l’Avvocato
di Stefano Caliciuri

Andare avanti, comunque. E’ la parola d’ordine che i torinesi si sono imposti da quando hanno perso il loro patriarca, l’uomo che ha guidato la più grande azienda automobilistica nazionale senza dimenticare l’originaria piemontesità. Certo, andare avanti. Ma con quali risorse? Per una drammatica fatalità, Gianni Agnelli ha ricevuto le sacre chiavi del Paradiso proprio mentre al fratello Umberto, molto più profanamente, venivano consegnate quelle della Fiat. E spetterà a lui, ora, risollevare le sorti di un’azienda che per l’intero secolo scorso ha portato a spalle buona parte dell’economia nazionale. Ma cosa succederà nell’immediato futuro? Quale distillato i dirigenti di via Chiabrera riusciranno a proporre ai fini degustatori europei? 

Se fino a qualche decennio fa la famiglia Agnelli era soltanto sinonimo di Fiat, ora l’attività può svariare su fronti differenziati. La fabbrica automobilistica non è nient’altro che il marchio più visibile sul mercato, la sommità di un iceberg che dovrà comunque riemergere per far fronte alla terribile ondata devastatrice. L’opzione di riscatto che General Motors può vantare a partire dal prossimo anno sulla totalità delle quote aziendali (attualmente detiene il 20 per cento) sembrerebbe oggi più lontana. I partner statunitensi vorrebbero garanzie affidabili, ma a breve termine la recessione delle quattro ruote non ha margini di miglioramento. Se negli anni Settanta il colosso torinese spopolava in tutto il continente, a partire dal decennio successivo è stato un lento declino, sino a farsi scavalcare per numero di vetture vendute da tutte le maggiori concorrenti tedesche, francesi e giapponesi. Spetta ad Umberto Agnelli risollevare la china, nella speranza che la nuova generazione (leggasi John Elkann) raggiunga la completa maturità (e scaltrezza) gestionale.

E in tutto questo la città di Torino non può più stare a guardare. Se la linea ferroviaria ad alta velocità consentirà un rapido interscambio con l’entroterra continentale, le Olimpiadi invernali del 2006 dovranno essere una lucente vetrina su cui mostrarsi. Forse le uniche due vere occasioni di rinascita per una città intorpidita da troppi anni di grigiore industriale, in cui la vivacità cittadina era scandita soltanto dai tempi delle turnazioni. Anche questi, non bisogna dimenticarlo, sono due regali, gli ultimi due regali, concessi dall’Avvocato. Ed ora soltanto i torinesi, di forza propria, possono farli fruttare. Almeno alla memoria.

31 gennaio 2003

 

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