L'ipocrisia dei nazionalizzatori
di Vittorio Mathieu
I nazionalizzatori sono coloro che hanno una fiducia illimitata
nel mercato. Pensano, infatti, che il mercato sia in grado di
sostenere, non solo se stesso, ma anche aziende male amministrate,
sprechi incontrollati, ruberie del pubblico a beneficio di
privati. Le nazionalizzazioni, infatti, sono erogazioni da parte
del Tesoro, e il Tesoro (dello Stato) si costituisce attraverso
l’imposizione fiscale. Ora, le imposte gravano su chi produce
ricchezza, e solo il mercato è in grado di produrre ricchezza. Le
nazionalizzazioni, dunque, traggono ricchezza dalle aziende sane
sul mercato, a beneficio di quelle non sane. In teoria il Tesoro
potrebbe anche comprare aziende per arricchirsi; di fatto, però,
si invoca il suo intervento quando a buttare capitali in aziende
decotte i privati non sono più disposti. L’ipocrisia (in buona
fede) raggiunge il culmine quando si dice: non vogliamo
nazionalizzare. Si tratta solo di intervenire con una iniezione
temporanea di capitale. Dopo cinque o sei anni l’azienda sarà
risanata e lo Stato potrà ritirarsi.
Ma perché aiutare i privati che amministrano male? Perché i
privati, oltre ad amministrare male, illudono decine di migliaia
di lavoratori di aver messo al sicuro il loro futuro. I
sostenitori di nazionalizzazioni che non vogliono più chiamarsi
così si propongono di sottoporre a tutela per un po’ di tempo i
cattivi amministratori per poi restituire loro il patrimonio. O
per passarlo a qualcun altro gradito al potere. Si ispirano
all’esempio di chi acquista un’azienda in crisi e la rilancia. A
beneficio proprio, però, non di qualche raccomandato. E il privato
ha il diritto di farlo quando rischia di propria tasca. Ci sono
innumerevoli esempi di aziende risanate da privati. Più difficile
trovare un esempio di aziende risanate da una temporanea tutela
pubblica, e poi rivendute a beneficio dello Stato. Se, infatti, lo
Stato avesse tra i suoi dipendenti amministratori capaci di
questo, potrebbe tenersi le aziende buone e vivere con il loro
reddito anziché con le tasse. Purtroppo è raro che i genii
dell’amministrazione si mettano al servizio dello Stato.
Preferiscono amministrare per conto di finanziatori privati. Forse
perché i finanziatori veramente privati li disturbano meno, non
avendo preoccupazioni elettorali.
29 ottobre 2002
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