Italia, quella Repubblica fondata sul lavoro… irregolare
di Renato Tubére


L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro? Così in effetti recita il primo articolo della nostra Costituzione: ma a quale lavoro si riferisce esattamente? Un rapporto del maggio 2002 a cura del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel) dimostra purtroppo come la realtà quotidiana sia ben diversa dal dettato costituzionale, visto che quasi un lavoratore su tre continua a non essere in regola nella nostra nazione. Da noi si lavora poco e male: abbiamo il triste primato in Europa, con il 21,5% (-1,5% rispetto a dicembre 2000), della più cospicua forza lavoro in una situazione d'irregolarità normativa e siamo di conseguenza al primo posto anche nell'incidenza sul Prodotto interno lordo (Pil) di quest'economia sommersa. Dal rapporto suddetto scopriamo inoltre che fra i lavoratori irregolari, il 42% non è iscritto al libro paga delle imprese, il 36% svolge un doppio lavoro ed il 18% è costituito da stranieri, in gran parte clandestini. Il Mezzogiorno si conferma come l'area geografica in cui l'economia sommersa primeggia, pagando con gl'interessi la dissennata distribuzione trentennale di risorse economiche attraverso i vari enti pubblici dai passati governi di centrosinistra.

Ora gli eredi di questa politica, siano essi parlamentari dell'opposizione oppure sindacalisti con l'unico obiettivo di salvaguardare i diritti acquisiti di chi ha già un lavoro regolare, provano a depistare i loro elettori con improbabili girotondi nelle principali piazze del paese. Il risultato di questo folklore che nulla ha a che fare con l'esercizio legittimo di un'opposizione democratica è drammaticamente sotto gli occhi di tutti: nel Sud della penisola sempre più persone scambiano il posto fisso, garantito a vita in un qualsiasi ente pubblico, come il lavoro-chimera cui agognare subito dopo il periodo scolastico. Eppure, se Atene piange, Sparta certo non ride: infatti anche il Nord d'Italia, che dovrebbe distinguersi per il grande impulso al sistema paese nelle sue scelte economiche e sociali, somiglia ad un pugile suonato sul viale del tramonto.

La qualità del lavoro a tutti i livelli tende brutalmente a diminuire a causa del terribile gap che si è venuto a creare fra domanda e offerta: decenni di completo abbandono nel delicato settore della formazione professionale inchiodano ora classe politica ed imprenditoriale alle loro precise responsabilità. Eppure in questa apparente valle di lacrime non manca una lodevole eccezione: il Friuli Venezia Giulia, regione autonoma dove l'applicazione di un serio e rigoroso federalismo fiscale - qui il 60% delle imposte dei cittadini residenti è trattenuto dall'amministrazione regionale - permette oggi di vantare un tasso di disoccupazione da record, il 4% contro il 12,3% della media nazionale. Un segnale in controtendenza? No, piuttosto un modo assolutamente positivo di amministrare le attese dei propri cittadini che andrebbe imitato da molte altre regioni, autonome e non.

27 settembre 2002

renatotubere@email.it

 

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