Fiat: inizia l’era della Controriforma
di Paolo Zanetto

La vendetta è un piatto che va gustato freddo, e Umberto Agnelli lo sa bene. Aspetta la vendetta da trent’anni, per la precisione dal 1974, quando quel “romano verace” di Cesare Romiti ha messo piede nelle stanze di Torino, ancora ovattate nel più elegante rigore sabaudo. Da quel giorno a corso Marconi “il Dottore” diventò Romiti, e Umberto dovette progressivamente rassegnarsi ad un ruolo di secondo piano, fino alla rinuncia agli incarichi operativi nell’80. Con le improvvise – ma non inattese – dimissioni di Paolo Cantarella da amministratore delegato Fiat, per il capitalismo italiano arriva è arrivata la Controriforma. Firmata Umberto Agnelli, che finalmente può prendersi le sue rivincite. Anzitutto contro la sua bestia nera, quel Romiti che l’ha ostacolato in tutti i modi, che ha distrutto le sue legittime ambizioni di succedere all’Avvocato alla presidenza del gruppo, che ha contrastato le sue scelte industriali. Secondo Umberto, infatti, la Fiat dev’essere una holding diversificata: energia, media, Tlc. Qualsiasi cosa che non abbia le ruote e un volante. E la crisi di Fiat Auto sembra dargli ragione.

Travolto dalla tempesta, industriale e finanziaria, ha dovuto dare l’addio anche il papà della Punto. Un vero terremoto: alla guida di Fiat Auto dall’inizio anni ’90, l’ingegner Cantarella era l’ultimo uomo-Fiat. Nato e cresciuto sotto l’egida della Sacra Ruota, Cantarella è uno che di mestiere fa le macchine. Non gli sono mai piaciuti i piani di diversificazione. Per questo piaceva a Gianni Agnelli, ultimo Re d’Italia, che sente ancora oggi sulle sue spalle stanche tutto il peso dell’economia e della società italiana. Per l’Avvocato la Fiat è l’Italia, e la Fiat, da che l’uomo ha memoria, fabbrica automobili. Non ha mai nascosto la sua amarezza per il contratto di vendita del 20% di Fiat Auto a General Motors, e si dice che sotto la sua guida non verrebbe esercitata l’opzione a vendere che permetterebbe a Fiat di disfarsi dell’auto nel 2004.

Ma l’Avvocato non è in forma: non ha partecipato all’ultima assemblea degli azionisti Fiat, era in America a curarsi. Tornato in Italia, dicevano i giornali, ha subito riunito l’assemblea della holding di famiglia, la Giovanni Agnelli & C., per riconfermare la strategia industriale. Ha ribadito la fiducia a Cantarella, scrivevano in molti. Ma in realtà, come si è poi scoperto, l’Avvocato era troppo stanco per partecipare alla riunione. Che pure era fondamentale per il futuro del gruppo. Perché, ancora una volta, la Fiat ha troppi debiti, e tocca alle banche salvarla. Al capezzale torinese però c’è una novità: non è stata chiamata Mediobanca. Non c’è più Enrico Cuccia, colui che aveva salvato la Fiat per almeno due volte: negli anni Ottanta, con la partecipazione dei capitali libici di Gheddafi, e ancora negli anni Novanta, con l’aumento di capitale che diluì la quota degli Agnelli e li imbrigliò in un patto di sindacato di ferro, nato e gestito in via Filodrammatici. La conseguenza finale di questa operazione fu ancora più dolorosa per il signor Fiat: Cuccia impose il suo uomo di fiducia, Romiti, alla presidenza del gruppo. Per Re Gianni si trattò di lesa maestà. Per il “povero” Umberto fu l’ultimo affronto.

Ma oggi è tutto cambiato. Senza il manovratore Cuccia, con la crisi del ’93 alle spalle, le banche italiane hanno saputo trovare una nuova solidità. I tre istituti di credito che gestiranno il prestito Fiat (IntesaBci, Sanpaolo-Imi e Banca di Roma) sono figli del processo di acquisizioni e fusioni durato per tutti gli anni Novanta, e che sembra aver garantito un minimo di solidità al sistema di credito italiano, fino a ieri frastagliato fino all’inverosimile. Non c’è più la necessità, forse nemmeno lo spazio, per una Mediobanca che tiri le fila. Umberto Agnelli e il suo braccio destro, il brillante manager finanziario Gabriele Galateri di Genola, hanno messo insieme le banche e i piani per l’aumento di capitale. E anche il dettaglio più delicato: il passaggio alle banche del 14% di Italenergia, la società di controllo di Edison (ex Montedison) partecipata anche dai francesi di Edf. L’accordo è complicato ma chiaro: la Fiat oggi ottiene contanti contro la quota azionaria, e potrà esercitare opzioni di riacquisto fino ad arrivare al 51% di Italenergia a partire dal 2005. Ovvero l’anno successivo alla sempre più probabile vendita del settore auto agli americani di GM. Il presidente Fiat, Paolo Fresco, ex numero due di General Electrics e uomo di fiducia degli americani, gestisce la transizione. E senza l’Avvocato a far valere la tradizione, sotto l’influenza di Umberto Agnelli la Fiat si avvia a fare tante cose, dall’energia all’editoria. Ma niente macchine. Per la Fabbrica Italiana Automobili Torino, prima azienda privata italiana, è la fine di un’era. E anche per l’Italia.

21 giugno 2002

zanetto@tin.it



 

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