Cattivi pensieri. Torino: un’egemonia al tramonto
di Vittorio Mathieu

“Torino senza Fiat è come un pesce senza bicicletta”. Questa parafrasi di un manifesto di Savelli serva di consolazione. Della Fiat, del resto, a Torino rimaneva poco più dello scheletro. E’ il destino costante della città sabauda. Trasportata la capitale a Firenze, sembrava non potesse sopravvivere. Poi, al volgere del secolo, si ebbe la rinascita industriale. Birra, cotone, industrie meccaniche, tra cui innumerevoli fabbriche d’automobile. E fibre artificiali Snia (pochi peraltro ricordano che Snia, non ancora Viscosa, significava: “Società di navigazione italoamericana”, durante la prima guerra mondiale). Il suo fondatore, Gualino, fece per qualche anno di Torino anche un vivace centro culturale. Tutto scomparso, rimase solo la Fiat; e ora, forse, anche di quella rimarrà solo l’insegna. Ma è probabile che Torino trovi nuova vita, se ci saranno comunicazioni che la collochino al centro dell’Europa occidentale, anziché lasciarla “capitale fuori mano di quel re che si agita tanto”, come diceva Tommasi di Lampedusa.

La Fiat la conosco dal 1929: da quando, cioè, mio padre vi entrò come disegnatore, non trovando lavoro a Genova come ingegnere navale. Tra il ’43 e il ’45 ci lavorai anch’io (speditovi a forza per evitarmi la costrizione nella repubblica sociale). Si trattava della associata “Aeronautica d’Italia”, ma già tutto era Fiat: davanti alla segretaria di Valletta tremava tutta la direzione. Ed era già consigliere d’amministrazione, fin dalla più tenera età, “il signorino Giovanni Agnelli”. Lavoravo come interprete all’Ufficio Germania, quindi in contatto obbligato con tutti. Il mio capoufficio, amico squisito, aveva cercato di farsi licenziare. “Se qualcuno mi cerca, dica che sono in barca, o al cinematografo” aveva ordinato per qualche mese alla segretaria. Invano: chi lavorava in industrie del genere non poteva lasciarle per offerte migliori. Questo spiega come contenesse i costi un’industria, peraltro con tecnici eccellenti: basti pensare all’ing. Gabrielli, progettista del primo caccia italiano a reazione, il G50.

Il senatore Giovanni Agnelli senior ebbe il merito di aggiornarsi in Italia sul fordismo; e anche per questo sgominò la concorrenza. Ma la commistione di interessi pubblici e privati non era lodevole fin da allora. C’è una lettera del 1928 al prefetto di Torino (citata dal Castronovo) in cui Mussolini scrive: “Se la Fiat ha dei problemi se li risolva, senza pretendere di collocarsi sullo stesso piano della dinastia o del regime”. Cambiato il regime, non ci fu più neppure la concorrenza della dinastia. Io credo, però, che gli attuali amministratori siano in grado di uscire dalla palude senza gli aiuti di nessun regime. In ogni caso, a Torino non conviene continuare a identificarsi con la Fiat.

24 maggio 2002

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