La nuova frontiera del "capitalismo molecolare"
di Renato Tubére

Capitalismo molecolare: con questa efficace definizione Aldo Bonomi, sul supplemento economico del Corriere della Sera, lo scorso 25 febbraio tratteggia un nuovo modello della piccola impresa italiana. All'indomani dell'amara rinuncia ad organizzare il Salone Internazionale dell'Auto a Torino, in Piemonte tutti si domandano se sarà questa la forma di capitalismo che riscatterà le speranze regolarmente disattese negli ultimi anni dai due giganti dell'imprenditoria piemontese, Fiat ed Olivetti. In quest'area geografica, da tempo alla ricerca di un'altra identità economica e sociale, emerge la figura di un nuovo imprenditore, desideroso di essere all'altezza delle esigenze del mercato globale.

Nato nei corridoi non sempre accoglienti di qualche camera di commercio, alle spalle un periodo più o meno lungo come dipendente, il nostro deve barcamenarsi ogni giorno tra i tentacoli di una burocrazia mai doma per sbarcare decorosamente il lunario. Dispone mediamente di una decina di dipendenti, non tutti inquadrati regolarmente (molti di loro sono immigrati clandestini), e si avvale delle nuove offerte di credito che gli provengono da banche locali agguerrite nel fidelizzarlo e nel sostenerlo costantemente. Inoltre dimostra la sua predisposizione a conquistare fette cospicue nel suo settore merceologico ricorrendo a sistemi innovativi ed aggressivi, fornitegli dalla net economy, perché adatti a diffondere velocemente la produzione e la vendita dei propri beni o servizi in tutto il mondo.

Dall'Unione Industriali all'API (Associazione Piccole Imprese), dalla Confartigianato all'ASCOM, è tutto un fiorire di proposte per migliorare in segmenti, come l'addestramento professionale o la consulenza legislativa, dove al nostro eroe mancherebbe il tempo per organizzarsi autonomamente. Il capitalismo molecolare del Nord Ovest è oggi a metà del guado: almeno duecento aziende di recentissima costituzione, consolidati con fatica i primi ragguardevoli utili, scoprono preoccupate un orizzonte tutt'altro che sereno. La condizione perché non vengano ricacciate indietro le loro legittime speranze è l'impegno preciso della classe politica, nazionale e regionale, a favorire in tutti i modi gl'investimenti dei due giganti industriali in difficoltà.

Personalmente non crediamo ad una Fiat imprigionata nel Jurassic Park di una Torino sede delle Olimpiadi invernali del 2006, ma ad un gruppo momentaneamente in difficoltà fermo però nei propositi di mantenere il prodotto auto ed i suoi componenti essenziali come suo core businness. Ferrari e Piko-COMAU sono lì a confermare un trend altamente positivo, in controtendenza con quello deficitario della produzione di autoveicoli. L'uscita definitiva dal gruppo di Ivrea dell'Ingegner Carlo De Benedetti, discusso padre padrone di un gruppo che avrebbe potuto essere l'alter ego europeo della californiana Silycon Valley, dimostra la voglia d'imprendere dei nuovi azionisti di maggioranza nel distretto industriale del Canavese.

Cosa dovrebbero fare quindi il governo nazionale di Silvio Berlusconi e quello regionale di Enzo Ghigo per favorire nuovi e più cospicui investimenti nel territorio del Nord Ovest dei due giganti di cui sopra, creando in parallelo uno scenario positivo per questo capitalismo molecolare? Semplicemente, applicare un federalismo virtuoso che non appesantisca, ma al contrario delegiferi in un sistema normativo che soffoca nel presente le potenzialità di tutto il mondo imprenditoriale del Nord Ovest. Ma per riuscirci c'è bisogno del coinvolgimento di tutte le componenti in gioco, prima fra tutte l'attuale organico dell'amministrazione pubblica in ogni suo livello. Meno regole condivisibili, anche perché vantaggiose, da tutti i giocatori (lavoratori, imprese e loro associazioni di riferimento) di una partita che non solo il Piemonte, ma l'Italia intera deve assolutamente vincere per competere adeguatamente in Europa e nel mondo.

15 marzo 2002

renatotubere@email.it

 

 

 

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