L'impervio sentiero del riordino della finanza pubblica
di Massimo Lo Cicero


Il governatore della Federal Reserve ha confermato le attese degli analisti più attenti, riducendo ulteriormente i tassi di interesse sul dollaro. Ora i mercati che usano il dollaro come moneta di riferimento sono ad un tasso inferiore al 2 per cento. Ma quali conseguenze hanno i tassi di interesse su questi mercati? Gli effetti sono di tre tipi. La discesa dei tassi rende più elevata la liquidità del sistema finanziario, perché si è ridotto il rendimento dei titoli che rappresenta il costo opportunità, il “prezzo” della decisione di restare liquidi. Il corso dei titoli azionari riceve un sostegno implicito perché il valore attuale di un’azione è indirettamente proporzionale al tasso di interesse e al premio per il rischio ed è inversamente proporzionale alle attese di espansione del business aziendale dell’impresa che ha emesso l’azione. La riduzione dei tassi offre, a parità di premio per il rischio, una spinta ai corsi, mentre la maggiore liquidità è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per rilanciare la crescita. Poiché, infine, nonostante l’ulteriore riduzione, il livello dei tassi reali resta positivo, la decisione rafforza la percezione dell’economia americana come quella di un sistema che dispone di grandi potenzialità tecnologiche e non è affetto da un’elevata inflazione.

Questa scelta, insomma, aiuta i mercati mobiliari a ritrovare un equilibrio accettabile per i risparmiatori che hanno visto il proprio patrimonio eroso dalle vicende degli ultimi dodici mesi. La ricostruzione della fiducia dei risparmiatori nel futuro del proprio patrimonio è una scelta radicale di supporto alla ripresa della domanda di consumi che, come lo stesso Greenspan ha più volte ricordato, risente della dinamica dei corsi di borsa quando, come nel caso americano, i risparmiatori hanno patrimoni prevalentemente mobiliari. Questo insieme di ragioni ci permette di cogliere le conseguenze della decisione di Greenspan. Essa si collega alla manovra fiscale espansiva che il governo ha promosso e il Congresso sta per ratificare e rendere effettiva. Essa dimostra che esiste cooperazione ed intesa tra i responsabili della politica monetaria e quelli della politica fiscale.

Essa rappresenta l’ennesima conferma di una conduzione della politica monetaria attenta alla congiuntura ed attenta anche alla percezione del futuro, che si forma nei giudizi degli attori in relazione ai comportamenti delle Autorità: proprio quello che, di recente, e dalle colonne del Corriere della Sera, il professor Paolo Savona ha lamentato essere una inesistente sensibilità nella persona dell’attuale presidente della BCE. Se lo stile della politica monetaria potesse essere considerato una sorta di vantaggio competitivo delle nazioni, allora gli Usa, grazie ad Alan Greenspan, hanno aumentato il proprio vantaggio rispetto all’Europa. Questo vantaggio, inoltre, si rivela ancor più radicale quando, ed è il caso degli Stati Uniti, la politica monetaria ha un impatto diretto sui mercati mobiliari ed i mercati mobiliari sono lo snodo principale del processo reale di accumulazione.

Mentre Greenspan scriveva questa ulteriore pagina della storia economica americana, in Italia è stata presenta dagli economisti di Tor Vergata un’ipotesi interessante di correzione della politica fiscale. Il Ceis, il centro studi della Facoltà di Economia a Tor Vergata, ha presentato presso l’Istituto Sturzo una integrazione delle politiche fiscali da realizzare con la legge finanziaria, in discussione al parlamento. Secondo gli economisti di Tor Vergata, proprio in ragione della lenta crescita del sistema europeo, una spinta alla ripresa potrebbe venire da una redistribuzione del reddito capace di premiare le famiglie più povere. La proposta è brillante perché permette di affiancare una risposta congiunturale macroeconomica, il sostegno della domanda per consumi, ad un obiettivo strutturale di maggiore equità sociale nella redistribuzione del reddito. Essa, inoltre, segnala l’asimmetria di fondo che separa la realtà economica europea da quella d’oltreoceano.

Se i mercati mobiliari sono il centro del processo di accumulazione le forbici della politica monetaria e di quella fiscale sono utili per riaprire la prospettiva di crescita. Quando, come in Europa, l’accumulazione è problema di banche senza azionisti e di governi che intercettano la metà del reddito nazionale, la ripresa della crescita sconta la lentezza e la farraginosità del sistema e passa, necessariamente, per il riordino della finanza pubblica. Che questo riordino possa essere espansivo ed equo nel medesimo tempo è vero, ma questo obiettivo richiede una ferma determinazione del parlamento e del governo in questa direzione di marcia. Lo scontento che, al contrario, cova e dilaga tra le imprese e le loro associazioni per le mancate riforme potrebbe rappresentare un attrito forte al raggiungimento di simili traguardi. In Europa la strada dell’equilibrio nella finanza pubblica è più politica e, dunque, e più incerta e difficile da raggiungere di una strada che debba fare i conti solo con i mercati.

14 dicembre 2001

maloci@tin.it



 

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