Energia e crescita, dal mondo delle idee al mondo delle azioni
di Massimo Lo Cicero


La produzione e il consumo di energia sono un problema nei paesi in cui esiste una consolidata abitudine all’utilizzo del mercato nella determinazione dei prezzi e nella utilizzazione dei vantaggi offerti dalla concorrenza. Un’avvincente ricostruzione di questo punto di vista si trova in una recente conferenza, che Alan Greenspan ha tenuto il 13 novembre 2001 a Houston in Texas. Quando, al contrario, si esce faticosamente dal monopolio pubblico dell’offerta e si scontano gli effetti di un’affrettata scelta contro il nucleare, come accade nel caso italiano, le cose sono molto diverse. Si è discusso della difficile strada per ricondurre al mercato, e agli interessi dei consumatori finali - famiglie o imprese che siano - la situazione italiana nel primo seminario della neonata Fondazione Ideazione, a Gubbio il 29 e il 30 di novembre. I problemi su cui riflettere non mancano: perché esistono interrogativi legati alla natura della questione, che valgono in Usa come in Europa, ed esistono interrogativi che nascono dalla storia del caso italiano e dal modo in cui si è cercato di uscire dal monopolio pubblico.

La questione più generale riguarda la natura dei beni che si scambiano su questo mercato: essi sono prodotti mediante assets ad elevata specificità e si vendono attraverso collegamenti di rete che “bloccano” i contraenti in una relazione che imprigiona entrambi ma che genera vantaggi solo per il venditore. Questo effetto di lock in, che trasforma il consumatore in un prigioniero del venditore, è tipico dell’economia delle reti ed è stato descritto da Varian e Shapiro, due economisti americani, in un bel libro, “Information Rules”, pubblicato anche in Italia da Etas Libri. Ma questo non è l’unico problema. Il fatto è che la specificità degli assets, che sono necessari per veicolare e produrre energia, o i fattori di produzione dell’energia, è fondata su un insieme di conoscenze, difficili da acquisire per i new comers e facili da osservare per gli insiders. In questo mercato, insomma, la minaccia competitiva viene dall’interno del sistema che produce e trasporta energia e non dall’esterno.

Non è facile entrare nella competizione: sia perché bisogna affrontare investimenti notevoli, sia perché non sono disponibili per tutti la tecnologia e la competenza necessarie. Infine, ma è stato detto assai chiaramente nella relazione introduttiva del seminario che è stata svolta da Giuseppe Sacco, c’è anche un problema di cultura e di retaggio ideologico. E’ l’occidente europeo che ha generato l’idea della pianificazione economica ed è la rigidità, per certi versi implicita e necessaria, nella produzione industriale pesante che ne ha alimentato la radice oggettiva. Non c’è dubbio che la produzione di energia sia da sempre una sponda della pianificazione: sul piano logico come su quello storico. Lenin, ed il gruppo dirigente bolscevico, dicevano che la Nep era fondata sull’energia elettrica e sul governo dei processi economici. Questo retaggio si scontra oggi con un paradosso sulla scena mondiale: le tensioni, innescate dall’escalation attivata dall’aggressione del terrorismo, aumentano l’incertezza ma penalizzano le imprese che consumano molta energia basica. La caduta della domanda di trasporti aerei riduce la pressione sul prezzo del petrolio che, infatti, ristagna paradossalmente. Ma che cosa accadrà quando la produzione riprenderà a tirare? E che cosa accadrà in Europa che, nonostante la recessione americana, registra oggi la sottovalutazione della sua nuova moneta l’euro, quando tra due anni, gli Stati Uniti cresceranno di nuovo e la pressione della crescita sposterà verso l’alto i prezzi del petrolio?

La storia degli anni Novanta, insomma, è anche la storia del debutto presuntuoso dell’euro, che ha subito la dura replica dei mercati, passando da 1,19 a 0,90 nel cambio contro la valuta americana. E il petrolio, che è la base del prezzo dell’energia, anche quando essa si produce dal gas, si paga in dollari, appunto. Il costo della svalutazione è una delle due lame che ha falciato, per tornare all’Italia, le aspettative dei consumatori che assistevano all’abbandono del monopolio. L’altra lama è la mancata attivazione della complessa architettura che avrebbe dovuto sostituire l’attuale attore “incombente” sul mercato: l’ex monopolista pubblico, l’Enel. Una mancata attivazione che deriva da ritardi amministrativi ma anche dalla difficoltà oggettiva del trapasso. Si tratta di dare voce ai consumatori che sono più imprigionati dalla trappola della rete distributiva, si tratta di attivare nuova capacità produttiva mentre non è ancora completato il trasferimento ai privati degli impianti produttivi. Si tratta di attivare una procedura competitiva e una sede in cui la competizione possa far valere la sua forza calmieratrice sulla formazione dei prezzi. Si tratta, last but non the least, di capire che avere rinunciato al nucleare comportava un ridimensionamento delle industrie che assorbono molta energia nei propri fattori di produzione. Quelle industrie dovranno migrare verso paesi in cui la produzione di energia costa meno o il nostro paese dovrà importare più energia, o fonti di produzione della stessa, ma, allora, dovrà anche esportare prodotti nei quali non sia così rilevante il costo dell’energia medesima. In altre parole, il mercato esiste e reagisce ai prezzi relativi che si formano negli scambi: non si può volere il mercato, razionare l’offerta di risorse strategiche e pensare che il mercato non reagisca a questo razionamento.

Il seminario di Ideazione ha dimostrato che di queste cose si può parlare con i fatti e la logica delle cose, prima che con l’ideologia e, proprio per questo, non è precipitato lungo la china del catastrofismo ecologico. Parlare delle cose e dei problemi è l’unica strada per trovare soluzioni condivise. Che sono tanto più necessarie nel nuovo ordinamento federale del nostro paese. Una situazione in cui basta l’opposizione di un piccolo comune per pregiudicare la nascita di impianti a rete, necessari per servire il mercato nazionale, che sono, praticamente, insostituibili. Non infiliamo la testa anche nel sacco della illusione che tutto si possa risolva bottom up, dal basso, dopo averla infilata nell’illusione di poter fare a meno del nucleare senza pagare alcun costo. Nel discorso di Greenspan, già citato, diceva il presidente della Federal Reserve che l’obiettivo della cultura americana è quello di “espandere il ponte tra il mondo delle idee e il mondo dell’azione”. Chi è stato al seminario di Gubbio ha avuto la sensazione che quell’obiettivo fosse anche nelle intenzioni e nei comportamenti di tutti i partecipanti. E’ un buon inizio.

7 dicembre 2001

maloci@tin.it


 



 

stampa l'articolo

LINK:

IL TESTO
DI ALAN
GREENSPAN

www.federal
reserve.gov