Al Wto i paesi poveri scelgono la via
dello sviluppo: il mercato
di Patrizio Li Donni
Dalla riunione Wto di Doha in Quatar, emerge prima di tutto una
chiara e semplice indicazione, cioè che la negoziazione al tavolo
delle trattative è la migliore delle medicine per i paesi in via
di sviluppo. Altro che proteste anti-global e centri storici
devastati con miliardi di danni. La tanto deprecata organizzazione
del commercio mondiale, dimostra di non essere poi un consesso
proprio da disprezzare. Questo non significa che la strada da
domani sarà in discesa. Ma senza alcun dubbio l’aver rilanciato
concretamente il dialogo sul commercio mondiale dopo l’infelice
parentesi di Seattle, ribadisce l’importanza di uno strumento di
trattativa come la Wto, in cui anche i più deboli, se in grado di
fare fronte comune, possono giungere a dei risultati positivi per
le loro economie. Sono loro infatti, i paesi con uno sviluppo
economico meno accentuato, i veri vincitori della conferenza di
Doha.
Certamente il vertice del Quatar sarà ricordato soprattutto per
l’ingresso della Cina nell’organizzazione, ma anche i compromessi
raggiunti sulle medicine e sull’ambiente non sono risultati di
poco conto. Sui farmaci infatti i paesi in via di sviluppo (Pvs)
potranno avere accesso ai medicinali salvavita a prezzi inferiori
a quelli dei prodotti coperti dai bervetti delle multinazionali, e
Brasile e India - unici tra i paesi in via di sviluppo ad avere la
capacita scientifica e tecnologica di realizzare questi farmaci
fuori brevetto - ne sono i principali beneficiari. Potranno così
convogliare, in particolar modo verso l’Africa, quei prodotti
indispensabili per frenare la diffusione dell’Aids, vera emergenza
del continente. Fino ad oggi la deroga era concessa solo per un
uso nazionale dei prodotti salvavita. In cambio l’Europa, che ha
appoggiato i Pvs in questa battaglia, ha ottenuto di mantenere le
sovvenzioni all’export in campo agricolo, cui la Francia non
voleva rinunciare, incassando anche l’importante compromesso sul
principio di precauzione (la possibilità di limitare l'import di
prodotti la cui non nocività non è provata) e di tracciabilità dei
prodotti agricoli che per l’Italia significa tutela dei marchi più
prestigiosi.
Per quanto riguarda invece investimenti e concorrenza: confermato
il rinvio al 2003 (alla prossima conferenza ministeriale) della
decisione e delle modalità del negoziato. A chiedere l’anticipo
era stata la Ue, con l'India favorevole a un anticipo maggiore. Un
braccio di ferro che ha rischiato di far saltare l'intero vertice
di Doha. Sul tessile invece è stata stralciata la parte
sull'accelerazione dello smantellamento delle quote di export dei
paesi in via di sviluppo verso i paesi industrializzati (prevista
nel 2005) che, attraverso un meccanismo di retroattività, avrebbe
consentito subito un aumento dell'export. La richiesta era partita
dai Pvs, capeggiati dal Pakistan; contrari, gli Stati Uniti e la
Ue. Questo è stato, come da più parti riconosciuto l’unico punto
in cui i cosiddetti paesi in via di sviluppo non hanno trionfato.
Ultimo punto quello degli standard lavorativi. Qui si riafferma la
dichiarazione di Singapore sugli standard internazionali del
lavoro. E si prende nota del lavoro che si sta svolgendo all'Ilo
sulla dimensione sociale e la globalizzazione. Non è previsto
invece alcun tavolo comune Ilo-Wto, né alcun legame tra standard
lavorativi e commercio internazionale, come invece chiedevano Ue e
Usa Insomma i paesi del terzo mondo non hanno voluto clausole
sociali che potessero minare le loro fragili economie. Trattative,
accordi, negoziati, in definitiva una sola parola: mercato. Con
buona pace di Casarini e Agnoletto ed il formaggiaio Bouvet.
16 novembre 2001
freccia@libero.it
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