Pensioni: cinque strade per una riforma
di Giuseppe Pennisi


Settembre si annuncia come il mese critico per la riforma della previdenza: nella prima settimana si è riunita la Commissione incaricata di verificare gli effetti delle misure adottate negli anni Novanta e di formulare proposte per ulteriori aggiustamenti; la seconda settimana del mese è caratterizzata da due incontri importanti (l'appuntamento autunnale della Confindustria e il convegno di Ideazione) sul riassetto del sistema; la terza settimana sarà quella del confronto tra e con le parti sociali; la quarta ed ultima, infine, sarà incentrata sulla messa a punto della legge finanziaria e dei provvedimenti ad essa collegata. Alcune misure di riordino è possibile che vengano incluse o nella legge di bilancio o in uno dei "collegati" oppure in un disegno di legge delega da presentare al Parlamento subito dopo la stesura della finanziaria.

La ripresa previdenziale settembrina è stata preceduta da indiscrezioni, voci, polemiche e fuochi incrociati in agosto. Le anticipazioni apparse sulla stampa riguardano numerosi istituti specifici: gli incentivi a restare nel mondo del lavoro e l'eventuale tabella accelerata per abolire le pensioni di anzianità; l'armonizzazione, anch'essa accelerata e più completa di quanto inizialmente previsto, delle aliquote contributive; l'età minima per accedere alla pensione; le misure, principalmente tributarie, per l'avvio dei fondi pensione; l'utilizzazione dei trattamenti di fine rapporto. A queste anticipazioni si aggiunge l'esigenza di far fronte all'impegno politico di aumentare le pensioni più basse e di rendere più equo il sistema sotto il profilo intergenerazionale ed infragenerazionale. E' difficile prevedere quali delle tante misure relative a tanti istituti specifici troveranno spazio nella legge finanziaria, in uno dei collegati oppure in un disegno di legge delega od in altro strumento normativo. Ancora più importante di tale lavoro è la necessità che ci sia un disegno organico di assetto previdenziale del futuro nel quale collocare i provvedimenti puntuali che si vorranno mettere in cantiere questo autunno. 

Un disegno organico è mancato alle riforme degli anni Novanta. La prima, la "riforma Amato" del 1992, è stata messa punto in fretta e furia sull'onda di una crisi valutaria che imponeva misure immediate di contenimento della spesa pubblica. Un disegno organico era, invece, alla base della "riforma Dini" del 1995: l'avvio di una previdenza pubblica obbligatoria a ripartizione in cui le spettanze corrispondessero ai contributi effettivamente versati, mettendo quindi un "pilota automatico" nel sistema. Tuttavia, come riconoscono gli stessi ideatori del sistema "retributivo", il meccanismo di base è stato inquinato da tanti aspetti non coerenti con le sue stesse premesse da renderlo potenziale fonte di instabilità e di nuove iniquità. La "riforma Prodi" del 1997 ha origini analoghe a quella attuata cinque anni prima dal Governo Amato: contenere la spesa - questa volta per entrare nel gruppo di testa della moneta unica europea. Senza un disegno di questa natura, ci si troverà sempre ad inciampare in riforme mezze cotte e riforme mezze crude e a riordinare la previdenza ogni tre-quattro anni, sottoponendo a veri e propri shocks non solo la finanza pubblica ma lo stesso assetto sociale. 

Dare un disegno organico alla previdenza del futuro - si badi bene - non vuole dire che c'è una sola strada obbligata da seguire. La "guida alle riforma" delle pensioni promossa da Ideazione ed a cui ho lavorato con altri colleghi dimostra che ci sono almeno cinque disegni organici alternativi verso cui si può andare. Sono possibili, entro certi limiti, anche modelli intermedi, risultanti dalla "contaminatio" di uno di questi disegni organici. Ci si rifletta al momento di stendere i documenti settembrini: la previdenza in frattaglie non fa bene a nessuno. 

7 settembre 2001

gi.pennisi@agora.it



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