Quel timore che Berlusconi cambi le cose
di Domenico Mennitti
Spesso gli eventi si svolgono con un ritmo così convulso che la cronaca assorbe tutta l’attenzione e lascia ai margini la riflessione su quel che accade. Si sta verificando un fenomeno nel suo genere straordinario, perché l’opposizione lamenta ogni giorno in parlamento il fatto che la maggioranza eserciti la propria funzione. L’ultimo caso, ma la lista è lunga, riguarda le dichiarazioni rese da Tremonti, che è andato in televisione per informare gli elettori dell’entità reale del “buco” verificatosi nei conti pubblici. Una sorta di truffa contabile denunziata da organismi vari, nazionali ed internazionali, sulla quale peraltro il governo ha atteso stime certe prima di assumere una posizione ufficiale.
Invece di confutare il fatto o solo le sue dimensioni, opponendo controindicazioni precise, sono insorti tutti - partiti del centrosinistra, sindacati e operatori dell’informazione - per denunziare il comportamento del ministro dell’Economia, addossandogli la responsabilità d’aver reso pubbliche informazioni inquietanti, prescindendo questi sobri difensori delle buone maniere dal considerare che quelle notizie investono direttamente il futuro degli italiani, lo sviluppo del paese, la disponibilità reale delle risorse da investire. Non lo dicono esplicitamente, ma si può scommettere che avrebbero gradito un prudente riserbo. Tremonti invece è stato esplicito anche nel corso del dibattito parlamentare quando ha chiamato sul banco degli accusati i vecchi governanti, restituendo un po’ di logica al dibattito. Ma è davvero sostenibile che debba vergognarsi chi denuncia un atto grave di manipolazione dei conti pubblici e non chi di tale spregiudicato comportamento è stato l’autore?
La verità è che troppi in questo paese sono ancora condizionati dalla vecchia abitudine secondo la quale gli impegni che si assumono durante la campagna elettorale debbono morire con essa. Chiusa la schermaglia polemica, ogni cosa deve restare al suo posto. E la constatazione che questo governo abbia preso sul serio il compito di porre mano ad una reale opera di modernizzazione è intesa come una inammissibile iniziativa di discontinuità, rispetto alla quale il blocco conservatore si sente spiazzato. Persino Pierluigi Battista, che è un intellettuale attento e disinibito, appare come colto di sorpresa e sulla Stampa mette le mani avanti, qualificando pericolosa la tendenza del governo a demolire piuttosto che a costruire, perché - ha scritto - occorre “la precauzione di non sfasciare un quadro condiviso da tutti”. Dimentica che non siamo di fronte a una situazione di ordinaria alternanza e che essa reclama urgenti cambiamenti - da tutti inutilmente invocati per anni - al sistema delle decisioni. Inoltre non si tratta di sfasciare un quadro condiviso da tutti per la semplice ragione che esso è appena stato bocciato dalla maggioranza degli italiani, per i quali sembra logico ipotizzare una voglia di discontinuità.
Impegnarsi a realizzare il programma annunziato agli elettori non è un atto di imprudenza e neppure di protervia, se mai di responsabilità. Sul merito dei problemi e delle soluzioni si potranno esercitare interventi in tutte le sedi deputate a partecipare alla formazione della volontà. Il nostro sistema prevede percorsi complessi e lunghi perché una proposta si trasformi in legge e per certi temi è opportuno che i passaggi siano congegnati in maniera tale da agevolare confronti e riflessioni. Ma qui si vorrebbe addirittura evitare, in verità proibire, che la maggioranza assolva al dovere di proporre leggi e riforme e ciò non tanto nel timore che tutto si sfasci quanto nella speranza che tutto si tenga, si conservi. Perciò Tremonti avrebbe dovuto tacere, Bossi non dovrebbe proporre progetti di riforma federale, Moratti non dovrebbe mettere le mani sui cicli scolastici, Sirchia dovrebbe non aprir bocca sul sistema sanitario. E tutto per non proiettare l’idea inquietante di voler fare “tabula rasa”. “Non siamo all’anno zero” - ha dichiarato con saggezza Berlusconi concludendo il dibattito sulla fiducia al suo governo - ma non possiamo interpretare questo riconoscimento al paese come una valutazione stoltamente ottimistica delle nostre condizioni. Che esigono impegno, progettualità e correttezza. Per chi sta al governo ( il riferimento è ad Amato ed ai suoi ministri ), anche quando è alle viste una campagna elettorale difficile e destinata alla sconfitta.
13
luglio 2001
dmennitti@ideazione.com
|